di Bruno Congiustì, studioso di Storia delle Calabrie

 

La principale arteria stradale che attraversa il territorio della Valle dell’Angitola è la storica via Regia delle Calabrie, voluta da Ferdinando II di Borbone.

Il monumentale ponte sul fiume Angitola, progettato dall’Ing. Giuseppe Palmieri, fu avviato nel 1845 e portato a termine dopo cinque anni. Sempre in quei primi anni ‘40 dell’800, si iniziò a porre mano alla via Regia che avrebbe collegato il mar Tirreno ed il mar Ionio, oltre alla derivazione per Mongiana e Ferdinandea.

Si trattò, quindi, della prima vera trasversale in Calabria. che portò a un notevole impiego di manodopera e avrebbe potuto portare a reali trasformazioni socio-economiche, se non fosse partita una politica post-unitaria di massiccio svuotamento di un’area vasta

Ma rimaniamo sulla nostra via Regia delle Calabrie dove partirono diversi cantieri di lavoro. Le opere, quindi, non procedevano su un unico fronte.

Uno degli appaltatori più importanti fu Don Arcangelo Forte il cui capo-squadra era Natale Molinaro che risiedeva a Capistrano, dove alloggiavano pure diverse maestranze che la mattina scendevano a piedi verso la vallata di Nicastrello e quindi i cantieri di Fascina e Centofontane. Altri gruppi di lavoratori alloggiavano nella vicina Monterosso ed a San Nicola, dove avevano la possibilità di godere delle rappresentazioni teatrali nei locali del teatro comunale.

La manodopera impiegata non era solo dei paesi confinanti con la strada, ma vi erano nativi di Catanzaro, Lauria, Monteleone e un po’ da tutta la Calabria. Notevole era l’impiego della manodopera femminile proveniente dai paesi viciniori e retribuita con mezza lira a giornata.

Non è difficile, pertanto, immaginare quanti e quali rapporti si andavano a costruire lungo i cantieri della via Regia. Si è potuta costruire una rete di relazioni di vario segno, le cui tracce sono ancora rinvenibili nella realtà del nostro territorio.

Lungo la costruenda via Regia non mancarono, ovviamente, i contenziosi con i proprietari che videro attraversare i loro terreni dalla importante arteria. Le imprese dovettero ricorrere spesso alla consulenza di Don Cesare Crispo. Se un giorno potremo far parlare le carte della ex Pretura di Monterosso, allora i contenziosi avranno molti nomi e cognomi.

Altro appaltatore impegnato nel grande progetto stradale, era Matteo Roscigno, fu Agostino, domiciliato a Pizzo ma proveniente da S. Giorgio (Salerno). Fu lui a realizzare, tra l’altro, la costruzione di due ponti: Conte e Capistrano in località Macuni-Cellaro.

Da un atto del 1859 del Notaio Perri, rileviamo il contratto che Roscigno stipulò con i tre scalpellini: Pasquale Cascina, fu Giuseppe, da Pizzo e con Rocco Caratozzolo, di Domenico e Pietro Carone, fu Antonio di Bagnara (Reggio Calabria). Questi ultimi dovevano fornire tutti i pezzi di intaglio necessari per i due ponti citati. I pezzi dovevano essere tutti di pietra di fiume lavorata a puntiglione e scalpello. Per questi, il prezzo pattuito era di 18 grani a palmo quadrato. Per i pezzi di rivestimento dei tagliacque, il prezzo era di 22 grani a palmo quadrato. Il contratto dettagliava minutamente la fornitura e le penalità.

Altro contratto il Roscigno lo stipulò con i fratelli Emidio, Giuseppe e Francesco Malerba barcaioli di Pizzo, figli del fu Matteo. Quest’ultimi si obbligavano a recidere 70 alberi di abete del bosco feudale di Serra, come bollati dalla guardia forestale. Con il legname bisognava fare cinque forme per il ponte Conte in territorio di Capistrano. Non difettano neanche in questo contratto le precisazioni tra le parti.

La calce necessaria si produceva sul posto, facendo cuocere la pietra nelle apposite calcare ubicate nei pressi della via Regia, vista che “la frasca” per alimentare le calcare era facilmente approvvigionabile, specie dal bosco Fellà.

Anche per la manutenzione degli attrezzi da lavoro: scalpelli e altro, si provvedeva direttamente sul posto con delle forge mobili.

Molto impiego veniva fatto di laterizi, mattoni di diversa misura che sono ancora molto ben visibili e in ottimo stato sotto i ponti e nelle facciate.

Alle imprese citate possiamo aggiungere Domenico Tranquillo di Pizzo e il suo subappaltatore Raffaele Capria pure di Pizzo.

Leggi anche “L’Architettura borbonica nella Valle dell’Angitola”, di Carmela Maria Spadaro, Università Federico II

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