(Lettera Napoletana) La nuova edizione di “Come andare a Messa e non perdere la fede”, saggio sulla liturgia di Nicola Bux è stata presentata a Napoli, all’Hotel Renaissance Mediterraneo, il 26 novembre scorso dal prof. Miguel Ayuso, presidente dell’Unione Internazionale dei Giuristi Cattolici, dal prof. Guido Vignelli, del comitato scientifico della FONDAZIONE IL GIGLIO e da Marina Carrese, presidente della Fondazione.
LETTERA NAPOLETANA ha rivolto alcune domande al teologo e liturgista.
Il titolo del libro è paradossale, ma, come è stato detto, il paradosso è a volte la strada più breve per la verità. Si rischia davvero di perdere la fede andando a Messa?
È stato affermato da Benedetto XVI che la crisi della Chiesa dipende in gran parte dal crollo della liturgia, cioè dallo smarrimento della liturgia come culto di adorazione a Dio in favore di una sua deformazione, degradazione a livello di intrattenimento a sfondo religioso. Questo ha finito per ingenerare l’allontanamento di molti e la perdita della fede ed è paradossale che ciò sia avvenuto dopo il Concilio Vaticano II che nella Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium descrive la natura della liturgia come culto pubblico dei fedeli rivolto a Dio per l’opera della redenzione che Egli ha compiuto.
Come mail il suo libro, esaurito da tempo in prima edizione e tradotto in cinque lingue, ha suscitato tanto interesse?
R – Dalle richieste giunte da più parti e da colloqui con chi lo ha letto, deduco che questo libro ha messo in evidenza – detto in una battuta – la dimensione mistica della messa. Per quanto possiamo sforzarci di renderla accessibile, o come si dice oggi “partecipata”, la messa non sarà mai totalmente comprensibile perché racchiude un mistero che è invisibile agli occhi della carne: l’invisibile è l’essenziale. La partecipazione più importante è quella interiore, che non si ottiene con trovate accattivanti, ma per il mistero dell’incontro tra il nostro cuore e Dio. Credo che presentare questa dimensione mistica della sacra liturgia aiuti a far comprendere la vera natura della sacra liturgia.
Il Papa, qualche giorno fa ha definito “eccezionale” la celebrazione della messa in rito romano antico, che è quella alla quale lei fa riferimento nel suo libro. Il Cardinale Burke ha replicato che non si tratta di un’eccezione, a norma del Summorum Pontificum.
Probabilmente la non piena padronanza della lingua italiana ha fatto supporre al Papa che il termine “straordinario” sia equivalente di eccezionale. Evidentemente non sa che “straordinario” spesso sta ad indicare ciò che è di più importante, ciò che esce dall’ordinario. Questa liturgia, secondo lo spirito del Summorum Pontificum di Benedetto XVI, ha pari dignità con il rito ordinario. Credo che sia stata infelice quella definizione e che dobbiamo attenerci alla legge, il Summorum Pontificum, finché qualcuno non la modifichi, dove si sottolinea che il rito romano ha due forme che hanno uguale dignità e devono arricchirsi vicendevolmente.
Eppure, in molte diocesi, soprattutto italiane, l’applicazione del motu proprio Summorum Pontificum trova ancora tanti ostacoli. A cosa attribuisce questa resistenza?
Probabilmente perché c’è ignoranza circa il motu proprio – molti non l’hanno nemmeno letto – e il suo scopo che è restituire sacralità alla liturgia. E molti non sanno che in Italia ci sono almeno 100 centri di messa nella forma antica o straordinaria. Qualunque cosa ne pensino taluni Vescovi, questo è il dato di fatto ed è in continua crescita. I tentativi di ostacolare, rallentare, trovare cavilli, non potranno fermare questo mare che avanza.
Meglio sarebbe se i vescovi si chiedessero se lo sviluppo che la forma antica sta conoscendo non sia un segno dei tempi. Soprattutto perché è desiderata da giovani, nati dopo il Concilio Vaticano II e la riforma liturgica, non imputabili di nostalgie. È un grande segno, diffuso in tutto il mondo, e per quanto si possa ostacolarlo, spesso in maniera maldestra e contro il diritto dei fedeli, credo sia impossibile fermarlo.
Il suo libro ha aiutato molti lettori a riscoprire significati della liturgia non più conosciuti. Ciò non è indice di una carenza nella formazione ai sacramenti dell’iniziazione cristiana?
Credo che la secolarizzazione che possiamo osservare nella società sia una delle prove della carenza di formazione, che è sia spirituale che morale. L’immoralità che denunciamo dovremmo chiederci se non dipenda da una carenza di catechismo, negli ultimi decenni. La società si è sempre più secolarizzata e certamente la Chiesa ha una grave responsabilità in merito. Parafrasando Charles Peguy si può dire che non è il mondo che secolarizza la Chiesa ma è la Chiesa che si lascia secolarizzare, cioè dissacrare, svuotare del suo stesso portato, ciò che essa deve portare al mondo, quello che Gesù ha detto “sale e luce” e noi potremmo chiamare il sacro, la presenza di Dio. La Chiesa è nel mondo per rendervi presente Dio, non per altro. Il modo principale di farlo è la sacra liturgia: se in essa non è presente Dio, a che serve?
Questo è il grande contributo che noi diamo al mondo, la liturgia dei sacramenti attraverso i quali consacriamo quella parte di modo che si lascia consacrare da Dio.
La liturgia è il diritto di Dio di essere adorato come lui vuole, non è a disposizione dei preti o della Chiesa. La Chiesa può regolare la liturgia, la può ordinare ma non la può sovvertire. I fedeli devono essere avvertiti di ciò e sapere che essi sono il soggetto della liturgia.
Con la riforma liturgica si è detto che l’assemblea dei fedeli è il soggetto della liturgia; nel Summorum Pontificum il coetus, il gruppo dei fedeli che chiede la forma antica della messa, è il soggetto della liturgia. Quindi non possono esserci operazioni tattiche nelle Curie per ridurre le messe, per accorparle, perché questo va contro il diritto dei fedeli. Invece il Pastore della diocesi deve fare il più possibile per incrementare, per diffondere; deve chiamare i fedeli e incentivarli ad allargare gli spazi, non a ridurli. Allargare gli spazi della messa significa dilatare l’amore, dilatare la carità. (LN106/16).
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