(Lettera Napoletana) Una comunità che si ritrova intorno a un simbolo, un dipinto restaurato per iniziativa di un’antica famiglia, con la partecipazione di una Confraternita, di associazioni, dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio, di docenti e studiosi locali.

È una storia esemplare del Sud, che arriva da Bagnara Calabra.
Il quadro restaurato è quello di “Giuditta e Oloferne”, conservato nell’Arciconfraternita Maria Santissima del Rosario, e fu realizzato tra fine ‘600 e inizio ‘700 da un allievo di Guido Reni, Ercole De Maria, ha spiegato al ROMA (21.6.2024) la professoressa Paola Pogliani, dell’Università della Tuscia che ha guidato il lavoro di un’equipe interdisciplinare.

Il restauro è durato un anno e mezzo ed è stato interamente finanziato con fondi privati dall’antica famiglia dei Parisio, dall’Arciconfraternita Maria Santissima del Rosario, dall’Ordine Costantiniano di San Giorgio, dall’associazione “Uccio Lopresti”, con la collaborazione e la guida dell’Università della Tuscia e della docente di restauro dell’Università della Calabria, Anna Arcudi.

Nessuna istituzione pubblica ha contribuito, e questo dice molto della distanza tra Paese reale e Paese legale, ma i circa 400 iscritti dell’Arciconfraternita, che fu elevata a tale rango dal re Ferdinando II di Borbone nel 1854, la Chiesa, le famiglie, gli studenti del liceo locale, le associazioni, sono state coinvolte ed aggiornate con incontri e seminari sullo stato di avanzamento del restauro, poi presentato il 14 giugno in un Convegno.

Parla di “orgoglio calabrese” con LN, Azaria Rovere, neolaureata del corso in Conservazione e restauro dei Beni culturali. Insieme alla collega Chiara Campanella ha lavorato sul dipinto. Il restauro di “Giuditta e Oloferne” è stata la loro tesi di laurea sperimentale ed ha consentito di recuperare dettagli del quadro coperti dal tempo o alterati da un precedente restauro eseguito negli anni ‘30 del ‘900, oltre a informazioni sull’attribuzione del dipinto e sui committenti.

«Lo studio storico-artistico – dice Azaria Rovere ha permesso di stabilire che il momento raffigurato dall’autore è quello successivo alla morte del generale assiro Oloferne, che ha già avuto il capo mozzato, come testimoniano il sangue che gocciola dal collo e la lama insanguinata della spada di Giuditta».

A commissionare il dipinto furono – secondo le autrici della tesi di laurea –probabilmente esponenti del ramo di Bagnara della famiglia Ruffo: il principe Antonio Ruffo, poi trasferitosi a Messina, il Cardinale Tommaso Ruffo, oppure il Cardinale Antonio Maria Ruffo (1687-1753).

Quello che è certo è che il restauro del dipinto ha significato la riappropriazione di un pezzo della propria identità culturale da parte della comunità del centro calabrese. Il quadro di “Giuditta e Oloferne” è diventato un simbolo capace di aggregare energie intellettuali e risorse materiali per ricostruire la memoria del passato di Bagnara. È una storia calabrese che fa scuola, una storia del Sud. (LN176/24)

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