(Lettera Napoletana) “Banco di Napoli, addio dopo 500 anni, via alla fusione con Intesa”, ha annunciato Il Mattino (21.12.2017), tra la meraviglia dei lettori. “Operazione sensazionale, perché mette fine all’autonomia di una banca fondata nel 1539”,ha aggiunto il giornale per dare il senso di un passaggio storico.
Ma la “notizia”, pubblicata di spalla in prima pagina, è solo parte di un’operazione di disinformazione completata due giorni dopo (23.12.2017) da un articolo, sempre in prima pagina, che annunciava trionfalmente “Banco di Napoli, piano da 25 milioni”, da un altro titolo tranquillizzante, “Una fusione soft per Banco di Napoli. Sud centrale”, e da un intervento del consigliere delegato del gruppo bancario piemontese-lombardo Intesa Sanpaolo Carlo Messina, che rivelava il senso reale dell’operazione: tagli, esuberi e risparmi di Intesa Sanpaolo ai danni dei dipendenti meridionali del gruppo e dei clienti del Sud.
Il 20 dicembre scorso il Consiglio di amministrazione di Intesa Sanpaolo ha deciso la fusione per incorporazione del Banco di Napoli, che sarà operativa entro febbraio 2019. Un passaggio solo tecnico-giuridico perché il Banco di Napoli, svenduto nel 1997 alla cordata INA-BNL (Banca Nazionale del Lavoro) per 61,4 miliardi di lire (circa 30 milioni di euro), fu rivenduto nel novembre 2000 al Sanpaolo-Imi di Torino, poi confluito nel gruppo Intesa Sanpaolo (cfr. “Libro conferma: il Banco di Napoli fu svenduto“). Il 31 dicembre 2002 il Banco di Napoli fu incorporato nel Sanpaolo-Imi.
La storia gloriosa del Banco di Napoli finì allora. Il secondo Istituto di credito più antico d’Italia morì così, vittima di un complotto ordito dalla Banca d’Italia, dal Ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi e da grandi gruppi bancari del Nord, nel silenzio complice dei politici meridionali. Da Bassolino, presidente della Regione Campania, al sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino, ai presidenti delle altre regioni del Sud continentale, dove il Banco aveva un’importante rete di sportelli, ai parlamentari eletti nei collegi meridionali.
I manager del Sanpaolo di Torino fecero sparire anche il nome ed il logo della Banca napoletana tra il 2003 ed il 2007. Poi furono costretti a riprenderne il marchio, quando si accorsero della forza commerciale che aveva. Il logo, che riportava gli stemmi degli antichi banchi che si fusero tra loro per dare vita al Banco di Napoli, fu sostituito da anonimi archi con una simbologia da iniziati.
“Vedrete gli archi nel logo, è un’idea anche un po’mia, l’acquedotto romano, un qualcosa che dà acqua e vita”, annunciò il bresciano Giovanni Bazoli, banchiere di fiducia di Romano Prodi, allora presidente di Intesa Sanpaolo (Il Mattino, 9.6.2007).
Del Banco di Napoli era rimasta, nella sede di Via Toledo, solo una direzione generale all’interno del Gruppo Intesa Sanpaolo. Affidata – da quando nel 2013 il manager napoletano Giuseppe Castagna si dimise dal gruppo – a manager piemontesi.
A che cosa serve l’operazione mediatica affidata a Il Mattino ? Lo si comprende leggendo l’intervento di Messina e, con più attenzione, gli articoloni del giornale, perfino contraddittori tra loro.
Prima notizia vera: i tagli di personale. Nel Gruppo Intesa Sanpaolo entro il 2020 “andranno in pensione, sfruttando gli scivoli previsti per i dipendenti bancari, una cifra pari a 9 mila addetti”. Quanti di questi saranno dipendenti del Sud? Almeno un terzo, forse di più, visto che Intesa Sanpaolo annuncia la chiusura di “circa 170 sportelli nei prossimi anni, soprattutto nelle aree meno redditizie di Campania e Calabria”.
A fronte di questi tagli, Messina annuncia suadente: “abbiamo deciso di assumere come Gruppo 1500 persone (…) una componente significativa sarà nelle regioni meridionali”.
Realtà: poiché la legge di stabilità 2018 prevede il “Bonus Sud” (sgravio dei contributi al 100% per le assunzioni a tempo indeterminato di giovani al di sotto dei 25 anni e disoccupati da almeno sei mesi) Intesa Sanpaolo ne approfitterà per ulteriori risparmi: qualche centinaio di nuove assunzioni al Sud, esenti da contributi, in cambio di 2-3 mila uscite. Ma dove andranno a lavorare i neo-assunti ? Lo anticipa Il Mattino (23.12.2017): “Per il personale l’incorporazione del Banco di Napoli vuol dire che i confini regionali dal 2018 non esisteranno più.” Ciò significa che “i trasferimenti non avverranno necessariamente a livello di area Sud ma nell’ambito dell’intero gruppo, quindi anche verso il Centro e il Nord (…)” saranno soggetti a “eventuali spostamenti “ (…) “soprattutto i più giovani e i 1500 che saranno assunti”.
A Napoli non resterà neanche una direzione generale. “Le circa 50 persone che vi lavorano dovrebbero essere dimezzate nel giro di un anno. Molte di loro matureranno i requisiti per andare in pensione. Le altre saranno trasferite”. “Banca unica – ammette Il Mattino – significa niente più centri decisionali politici nei vari territori”. A Napoli non c’erano già più centri decisionali del Banco, ma adesso, la richiesta di credito di un’impresa meridionale sarà vagliata dai manager di Torino.
Sparirà definitivamente anche il marchio glorioso del Banco di Napoli, con i suoi cinque secoli di storia. “Le filiali manterranno le insegne Banco di Napoli”, annuncia Messina . Ma Il Mattino lo smentisce : “forse fino al 2020 all’entrata delle agenzie, per la rilevanza che ha nell’immaginario collettivo del Mezzogiorno. Per il resto, sparirà subito. Scomparirà su tutta la modulistica (…) e sul Web, che ha già dato l’addio al Banco di Napoli”.
“Ai Napoletani non resteranno neanche gli occhi per piangere”, profetizzò Re Francesco II da bordo della Mouette, lasciando Gaeta. Del Banco di Napoli, nel quale milioni di emigrati hanno versato i propri risparmi, e milioni di meridionali hanno investito i propri risparmi, non resterà neanche il nome.
Ma era tutto annunciato, scritto, deciso dal 1997. Il Mattino fa morire il Banco di Napoli due volte, ma solo per fare ingoiare ai clienti meridionali di Intesa Sanpaolo (il Banco contribuisce al capitale sociale del gruppo piemontese-lombardo con un miliardo di euro ed amministra mezzi per 53 miliardi) i bocconi amari dei tagli, dei prepensionamenti, della chiusura degli sportelli.
La Compagnia di San Paolo, Fondazione bancaria di Torino che controlla quasi il 60% di Intesa Sanpaolo e svolge “attività filantropica nei settori della ricerca, cultura, arte, istruzione, ecc. …” ha compiuto nel 2017 un intervento nel settore della cultura al Sud, erogando 3,5 milioni di euro al Teatro San Carlo di Napoli.
Gli interventi in Piemonte sono stati 185. Solo al Castello della Mandria, della ex residenza sabauda della Venaria Reale, sono stati erogati 80 milioni…
Nel 2007, alla Campania, dove il Banco di Napoli raccoglie oltre 1 milione e mezzo di clienti, sono stati destinati il 2,5% degli stanziamenti della Compagnia di San Paolo nei settori della cultura, della ricerca scientifica e del volontariato. In cifra assoluta si tratta di 4,25 milioni di euro su un totale di 167,5. Nello stesso anno, al Piemonte è stato assegnato l’81% del totale degli stanziamenti e alla Liguria, altra regione di interesse del gruppo bancario, il 6,9%.
Dopo le proteste di alcune istituzioni culturali, tra le quali l’Università Federico II, la Compagnia di San Paolo non ha più reso noto il bilancio dettagliato degli interventi con le percentuali geografiche delle somme erogate.
Di tutto questo restano spettatori muti i politici meridionali. Il sindaco di Napoli De Magistris, di fronte alle decisioni di Intesa Sanpaolo dovrebbe trasferire la Tesoreria del Comune di Napoli, affidata al Banco di Napoli, ad una banca del Sud, ma resta indifferente, così come il presidente della Giunta regionale campana De Luca.
Il “meridionalista” ufficiale Adriano Giannola, presidente dello Svimez, che era uno dei componenti del cda del Banco di Napoli quando nel 1997 fu svenduto alla cordata INA-BNL, dice che “la possibilità di creare una grande banca regionale (…) fu disattesa da scelte di segno diverso” , “delle quali – precisa subito – ovviamente Intesa Sanpaolo non ha alcuna responsabilità” (Il Mattino, 23.12.2017).
La sparizione della direzione generale del Banco di Napoli, la chiusura degli sportelli in Campania e Calabria, la riduzione di organico, la cancellazione del marchio sarà firmata dall’attuale (ed ultimo) presidente del Banco di Napoli, Maurizio Barracco, fondatore, insieme alla moglie Mirella, della neo-giacobina Fondazione Napoli 99.
Non meraviglia che a seppellire i resti del Banco siano gli eredi dei giacobini del ’99. Allora con le baionette dei francesi tentarono di liquidare un Regno indipendente con sei secoli di storia. Oggi fanno gli esecutori testamentari dei banchieri piemontesi e lombardi. (LN119/17)