(Lettera Napoletana) Il Sud ha qualcosa da perdere se andrà in porto il lungo e complesso percorso del DDL (disegno di legge) sull’Autonomia regionale differenziata, approvato il 2 Febbraio scorso in Consiglio dei ministri su proposta del ministro per gli affari regionali Roberto Calderoli?

E vale la pena di difendere l’attuale organizzazione dello Stato centralista e unitario?

IN CHE COSA CONSISTE L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA

Il principio consiste nell’attribuire alle Regioni la delega per la competenza esclusiva, rispetto allo Stato, per una serie di materie. Tra queste l’istruzione, la gestione dei beni culturali, la gestione dei porti e degli aeroporti, il commercio con l’estero, i trasporti. Alcune regioni del Nord, come il Veneto, dove nel 2017 si è svolto un referendum per l’estensione dell’autonomia (cfr. LN11/17), la Lombardia e l’Emilia Romagna, hanno chiesto fino a 23 materie di delega allo Stato.

LE RAGIONI DI CHI SI OPPONE

Escludendo quelli che all’Autonomia regionale differenziata si oppongono in nome dei propri interessi personali, di lobby e di setta (che sono molti), i contrari all’estensione delle competenze alle Regioni parlano di rischio di “spaccatura dell’Italia” ed anche di “fine dell’Italia”. Sono slogan sorprendenti:

«In valore assoluto, nel 2022 il Pil pro capite al Sud è quasi la metà di quello del Nord: 20.900 euro contro i 38.600 euro del Nord-Ovest e i 37.400 euro del Nord-Est. Nel 2022 la popolazione italiana si è ridotta di 824mila unità rispetto al 2019, il 60% nel Mezzogiorno (soprattutto in Molise, Calabria e Basilicata). Tra il 1996 e il 2019 quella del Nord è cresciuta del 9,3%, mentre quella del Sud è calata del 2%» (cfr. Ufficio Studi Confcommercio, Nota sulle Economia regionali, 9.6.2022).

L’Italia è spaccata dai primi decenni dopo l’unificazione, proprio per effetto della stessa. Il modello di Stato unitario imposto dal Piemonte, che lo aveva ereditato dal giacobinismo della Rivoluzione francese attraverso Napoleone, ha ridotto il Sud alla condizione di colonia. E questo è avvenuto con la complicità di una classe politica che è l’articolazione periferica dei partiti nazionali unitari e vive della gestione dei trasferimenti statali.

Sono i componenti di questa classe politica, i De Luca, gli Emiliano, e i loro economisti di riferimento, come quelli del carrozzone statalista Svimez, che gridano più forte, perché hanno da temere di più. Ma a loro si uniscono anche “meridionalisti” – qualcuno in buona fede, molti altri no – che paradossalmente difendono contro l’Autonomia regionale differenziata proprio lo Stato unitario e centralista che ha ridotto il Sud all’attuale condizione di sottosviluppo.

“L’autonomia differenziata significherebbe la morte del Sud”, ha sentenziato il presidente della Giunta regionale della Campania Vincenzo De Luca (“la Repubblica-Napoli”, 3.3.2023). In passato, De Luca aveva parlato invece di “una sfida da accettare”. Ma la questione è un’altra. Il Sud sta già morendo. Di sottosviluppo economico, di emigrazione e di crisi demografica. La difesa a oltranza dello Stato unitario e centralista significa la sua condanna a morte. L’Autonomia regionale differenziata può dargli qualche chance di rilancio nella misura in cui può permettere un ricambio della classe politica.

Il 2 Marzo scorso, la Conferenza unificata Stato regioni ha approvato il DDL Calderoli. Contro, hanno votato Campania, Puglia e le altre due regioni amministrate dal Pd: Toscana ed Emilia Romagna; a favore le altre regioni del Sud e dell’Italia, a conferma di una scelta motivata solo da interessi di partito ed in funzione dell’opposizione al Governo.

IL FEDERALISMO FISCALE

Il DDL sull’Autonomia regionale differenziata è ispirato dal federalismo. Per chiarezza, va detto che non è il modello di organizzazione statuale che occorre al Sud. L’Italia avrebbe potuto essere unita solo in una Confederazione di Stati, che lascia un’autonomia ben più ampia. Va aggiunto che il DDL Calderoli si limita a decentrare il potere dello Stato, trasferendolo alle Regioni, e non a limitarlo ed a restituirlo ai corpi intermedi. A titolo di esempio: una Sanità affidata alle Regioni, invece che restituita alla Società nelle sue articolazioni (Associazioni, Ordini religiosi, Mutue, enti di beneficenza, ecc.) non è meno oppressiva di quella statale.

Anche così, però, l’Autonomia regionale differenziata può essere utile al Sud per avviare un processo di cambiamento della classe politica, che è il vero nodo da sciogliere per il suo riscatto.

Il federalismo fiscale attribuisce una quota maggiore di entrate fiscali alle Regioni e una minore allo Stato centrale. Il gettito proveniente dalla grande risorsa dei Beni culturali presenti al Sud, che adesso è destinato per buona parte allo Stato centrale, resterebbe sul territorio.

La classe politica meridionale vedrebbe allentato il rapporto con i partiti nazionali e sarebbe messa direttamente di fronte ai propri elettori. Un ricambio della classe politica diventerebbe probabilmente più facile.

Quanto agli squilibri nelle entrate tra le ricche Regioni del Nord e quelle del Sud, il DDL Calderoli (art. 5 §2) prevede la costituzione di un fondo di perequazione, richiamando l’art. 119 della Costituzione.

Ci sono poi le opportunità che le deleghe alle Regioni offrirebbero. Il Friuli, il Veneto, ed altre regioni del Nord, proteggono i loro dialetti come lingue vere e proprie. Il Veneto regala ai nuovi nati la bandiera della Serenissima Repubblica di Venezia e finanzia film come il “Leone di vetro, sul falso plebiscito in Veneto. Difende, cioè, la propria cultura.

Nelle Regioni del Sud si potrebbe cominciare finalmente a studiare a scuola la propria Storia, la lingua e i dialetti. I De Luca, gli Emiliano e gli altri “meridionalisti” interessati, continuano invece a difendere la “scuola pubblica” dell’indottrinamento risorgimentale e degli ex sessantottini in cattedra.

I LEP E LA SPESA STORICA

Uno dei nodi dell’Autonomia differenziata riguarda la definizione dei livelli essenziali di prestazione (Lep), cioè le soglie minime dei servizi che vanno garantite a tutte le Regioni. Detto che attualmente il livello di servizi al Sud è nettamente peggiore in materia di Sanità, assistenza sociale, asili nido, ecc., e che sarebbe difficile peggiorare, il DDL Calderoli stabilisce che “i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale sono determinati con uno o più decreti del presidente del Consiglio”(art.3).

Quanto alla “spesa storica”,cioè il criterio per cui le risorse attribuite dallo Stato alle Regioni per la gestione dei servizi (Sanità, assistenza asili nido, ecc.), nel testo del DDL Calderoli non compare.

I meridionali si possono fidare di garanzie come queste? Naturalmente no. Ma le garanzie, come le libertà, si prendono e non si accordano. Toccherà alla classe politica ottenerne il rispetto effettivo. Finora la stessa classe politica non ha saputo e voluto fare, preferendo la subalternità e l’acquiescenza ai partiti nazionali.

Nessuno, però, tranne chi finora ci ha imbrogliati in nome della difesa dell’Italia risorgimentale può sostenere onestamente che l’attuale situazione del Sud sia preferibile ad un cambiamento che allenterebbe comunque la presa dello Stato unitario. Quello che ha condannato a morte il Sud. (LN170/23)