(Lettera Napoletana) La Fondazione Banco di Napoli eleggerà il 21 novembre prossimo il nuovo presidente ed il nuovo Consiglio di amministrazione al termine del commissariamento deciso il 3 aprile 2018 dal Ministero per l’Economia su richiesta di un combattivo gruppo di consiglieri guidati dal prof. Orazio Abbamonte.
Il gruppo, numericamente piccolo ma compatto, ha combattuto una “battaglia nella notte”, nel silenzio e nell’indifferenza dei politici di Napoli e delle Regioni meridionali, rappresentate nella Fondazione, contro lobbies universitarie e “poteri forti” abituati da decenni a spadroneggiare nelle istituzioni culturali napoletane, contro l’opacità delle gestioni ed i profondi buchi nei bilanci della Fondazione prodotti dagli ultimi due presidenti, Adriano Giannola e Daniele Marrama. Giannola, attuale presidente dello SVIMEZ, è rimasto al vertice della Fondazione Banco di Napoli per 13 anni, dal 2000 al 2013.
Il patrimonio della Fondazione Banco di Napoli, che dovrebbe curare l’importantissimo archivio del Banco di Napoli e la preziosa biblioteca e promuovere gli studi di storia meridionale – circa 120 milioni di euro – è stato pesantemente intaccato da spericolati investimenti in partecipazioni azionarie di banche locali, obbligazioni subordinate ad alto rischio, obbligazioni di imprese di incerta solvibilità, mettendo in pericolo la stessa sopravvivenza della Fondazione. Un investimento di un milione di euro in mini-bond della “K4A”, azienda dell’imprenditore di area PD Dario Scalella, non sarà rimborsato.
Il nuovo consiglio di amministrazione della Fondazione potrebbe decidere l’avvio di un’azione di responsabilità nei confronti degli ultimi due presidenti. La Fondazione Banco di Napoli non è una fondazione bancaria, ma una fondazione culturale. Del Banco di Napoli, passato sotto il controllo dell’Istituto San Paolo di Torino (poi confluito in Banca Intesa) ha ereditato solo l’archivio e la biblioteca.
Ma se il Banco di Napoli è stato svenduto a gruppi bancari del Nord (cfr. LN 119/17) la Fondazione Banco di Napoli è stata spolpata dai “meridionalisti”, dagli accademici e dagli intellettuali meridionali. E questo è avvenuto con la complicità dei politici meridionali. Il bilancio 2017 della Fondazione, presentato dal Commissario nominato dal MEF, chiude con un passivo di 10 milioni di euro. Ma i crediti inesigibili ammontano – secondo voci insistenti – a cifre molto più alte.
Il 21 novembre il Consiglio generale della Fondazione Banco di Napoli dovrebbe eleggere alla presidenza l’imprenditrice napoletana Rossella Paliotto, unica candidata, sostenuta dal gruppo di consiglieri di opposizione guidati dal prof. Abbamonte, sulla quale si è coagulato un consenso ampio. Hanno dovuto rinunciare l’ex Rettore dell’Università Federico II, Guido Trombetti, e l’ultimo presidente del Banco di Napoli (ormai cancellato anche come marchio dal gruppo piemontese-lombardo Banca Intesa) Maurizio Barracco, promotore della Fondazione neo-giacobina “Napoli Novantanove”.
Alla vigilia di questo passaggio decisivo per il futuro della Fondazione Banco di Napoli, Lettera Napoletana ha rivolto alcune domande al prof. Orazio Abbamonte, giurista e docente di Storia del Diritto all’Università Luigi Vanvitelli.
D – È vero che Il patrimonio della Fondazione Banco di Napoli è stato ridotto di circa un terzo con gli investimenti effettuati dalle ultime due presidenze?
R. Fare i conti con esattezza al momento non è semplice. Ci sarà un Consiglio di Amministrazione al quale competerà l’onere di verificare la reale situazione. Certo, da consigliere generale non mi è sfuggito che ci sono investimenti di notevole rischio per la qualità degli impieghi che, non solo sono scarsamente o per nulla produttivi, ma che già oggi non hanno alcuna possibilità di essere liquidati sul mercato, perché per essi non esiste domanda. E questo è un indicatore tutt’altro che rassicurante. Allo stato il bilancio commissariale ha chiuso con circa 10 milioni di euro di perdite. Ma la mia seria preoccupazione è che il dato reale possa essere quello che ipotizza, vale a dire un terzo del patrimonio. Sono questioni che verranno però affrontate con i dovuti approfondimenti nel prossimo esercizio.
D – Come spiega il silenzio ed il disinteresse con i quali i politici meridionali hanno accompagnato la battaglia che ha condotto insieme ad un piccolo gruppo di consiglieri per la trasparenza nella gestione della Fondazione?
R. Una bella domanda, che andrebbe rivolta a loro, ed anche alle cosiddette élites cittadine che, per quanto più volte pubblicamente chiamate ad intervenire nelle forme possibili, hanno sempre guardato altrove. Salvo poi – quando si è trattato di sostituire gli organi di amministrazione della Fondazione commissariati – mostrarsi fortemente interessati ad occuparli. Ma questa è un’esperienza certamente non limitata alla Fondazione Banco di Napoli. È un diffuso atteggiamento d’irresponsabilità della borghesia napoletana, ma anche più generalmente meridionale, la quale non sente la dimensione pubblica come cosa che la riguarda, salvo poi attivarsi ed entusiasmarsi quando si tratta d’ottenere qualche prebenda.
D – Per l’elezione del nuovo presidente c’è stato un tentativo in extremis di lobbies universitarie e “poteri forti” di mantenere il controllo della Fondazione con propri
R. È un tentativo che ho denunciato anche sui giornali, grazie a Dio fallito. Ed è stato un tentativo molto chiaro: due tra Rettori ed ex Rettori candidati in sequenza giornaliera, con voti di consiglieri generali che si spostavano di conseguenza. Inutile dire che né quei rettori, né le Università che si sono mobilitate avevano in precedenza manifestato segni di premura per gli interessi della Fondazione, la quale era nella difficilissima situazione che l’ha poi portata al Commissariamento ed a dichiarare già oggi 10 milioni di euro di perdite patrimoniali su un patrimonio di circa 120 milioni. Non poco.
D – Con il nuovo presidente ed il nuovo consiglio di amministrazione quale ruolo svolgerà la Fondazione Banco di Napoli e quali sono le decisioni più urgenti da assumere a fronte del passivo di bilancio?
R. Si tratta di cose che discenderanno dall’indirizzo che alla Fondazione darà il Consiglio Generale ed il presidente in pectore, la dottoressa Rossella Paliotto, che però ha già presentato il suo programma. Ne emerge una forte demarcazione verso l’azione sociale, il potenziamento dell’attività culturale, anzitutto con la seria valorizzazione dell’Archivio – un’occasione anche per impegnare tanti valorosi giovani studiosi meridionali – il tutto accantonando i forti investimenti speculativi ed imprenditoriali della precedente gestione e tentando di recuperare le significative perdite di cui abbiamo parlato. C’è molta scommessa in ciò, ma se non ci si propongono ambiziosi obiettivi, non si raggiungono nemmeno apprezzabili risultati. (LN128/2018).