Pasquale Stanislao Mancini: ideologo della rivoluzione nazionale

Pasquale Stanislao Mancini (1817-1888) è una figura non sufficientemente nota del “Risorgimento”, cioè della Rivoluzione italiana.

Giurista e docente universitario, cospiratore liberale, rifugiato in Piemonte dopo il fallimento del tentativo insurrezionale del 1848 insieme ad un folto gruppo di liberali, che da Torino consigliavano il governo piemontese nelle trame contro il Regno delle Due Sicilie, Mancini rientrò a Napoli nel 1860, dopo l’invasione garibaldina. Di Garibaldi fu anche avvocato, assistendolo in una causa di annullamento matrimoniale. A Torino fu appositamente istituita per lui nel 1850 la cattedra di diritto pubblico esterno e internazionale privato e Mancini fu eletto al Parlamento subalpino.

Dal 1860 in poi fu ininterrottamente deputato del Piemonte e poi del regno d’Italia, divenendo il capo del centro-sinistra, e ministro della Pubblica Istruzione, della Giustizia e degli Esteri.

A Napoli, durante la luogotenenza (1861) fu consigliere dei piemontesi per le “province napoletane”.
Aveva studiato nel seminario di Ariano Irpino (Avellino), ma era anticattolico. Erede delle posizioni giurisdizionaliste di Pietro Giannone e degli illuministi, che volevano asservire la Chiesa al potere dello Stato, ritenuto l’unico legittimo, Mancini fu nominato Segretario degli Affari ecclesiastici e si distinse nella repressione contro i Vescovi del Regno delle Due Sicilie.

Di essi, 54 su 66 furono sostituiti con “Vicari capitolari” sulla base di sue direttive. Mancini negò più volte il diritto dei Vescovi di allontanarsi della propria sede senza l’autorizzazione del governo.
Anti-tomista, ammiratore di Machiavelli – del quale elogiava l’espulsione della categoria della morale dalla politica – Pasquale Stanislao Mancini è il teorico di quel “principio di nazionalità” che deriva dall’idea rivoluzionaria di nazione dei giacobini francesi e fornì la base teorica alle invasioni napoleoniche come a quelle piemontesi dei legittimi Stati pre-unitari.

Alla concezione tradizionale della nazione come eredità, e come prodotto dell’opera di generazioni di uomini nati su una stessa terra per un disegno provvidenziale, Mancini sostituisce la “Coscienza della Nazionalità”, cioè un’idea volontaristica della nazione, alla quale si sceglie di appartenere.
Per Mancini la nazione non è, infatti, uno dei quadri naturali, come la famiglia, ai quali si appartiene per nascita, ma una costruzione ideologica nella quale ci si riconosce.

Nella sua Prolusione al corso di diritto pubblico esterno e internazionale privato svolta all’Università di Torino il 22 gennaio 1851 sul tema “Del principio di nazionalità come fondamento del diritto delle genti” Mancini definì in questi termini il “principio di nazionalità”: “questo principio [di Nazionalità] in che mai consiste? Esso è la coscienza della Nazionalità, il sentimento che ella acquista di se medesima e che la rende capace di costituirsi al di dentro e di manifestarsi al di fuori”.

La matrice ideologica e settaria di questo concetto, elaborato nei clubs giacobini, risulta dalla successiva affermazione di Mancini: “Nulla è più certo della esistenza di questo elemento spirituale animatore della Nazionalità; nulla è più occulto e misterioso della sua origine e delle leggi a cui obbedisce” .

Nell’articolo ora disponibile tra i downloads, Aldo Grieco, medico e docente universitario, studioso dell’Italia pre e post-unitaria, illustra il concetto di Nazione di Pasquale Stanislao Mancini e delinea l’opera anti-cattolica ed il sostegno da lui dato alla piemontesizzazione dell’ex Regno delle Due Sicilie con l’estensione delle leggi sabaude ed alla spietata repressione contro la resistenza anti-unitaria definita brigantaggio.

 

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