Per dare un sostegno solido di documenti, cifre, fatti, alla battaglia intellettuale per la memoria delle Due Sicilie c’era bisogno di un grande classico della storiografia.
L’idea di una nuova edizione della “Storia delle Due Sicilie” di Giacinto de’ Sivo, appena pubblicata dalla Grimaldi & C. Editori, con il contributo della FONDAZIONE IL GIGLIO (Introduzione di Gennaro De Crescenzo, 2 voll. pp. 515-504, 16 tavole fuori testo, € 50,00), è nata così.
Chi per lo studio e la ricerca storica, come per la divulgazione giornalistica, oppure per immettere contenuti su Internet, vuole consultare l’opera del più importante storico dell’Anti-Risorgimento, adesso la trova disponibile in un’edizione di grande pregio, di una casa editrice che ha in catalogo centinaia di titoli sulla storia, l’arte e la cultura napoletana, tra i quali “Le industrie del Regno di Napoli”, di Gennaro De Crescenzo, giunto alla seconda edizione.
Quali sono i pregi di questa Storia, che abbraccia il periodo critico del Regno, immediatamente precedente all’invasione-unificazione (1847-1861) ?
Giacinto de’ Sivo (1814-1867) è uno spettatore contemporaneo degli avvenimenti. Per interpretarli dispone di documenti e testimonianze di prima mano, spesso fornitigli direttamente dai protagonisti. Nell’estate del 1862 lo storico di Maddaloni lesse al Re Francesco II in esilio alcuni capitoli dell’opera che stava preparando. «Il Re – scrive lo storico Roberto Mascia biografo di de’ Sivo – ascoltò con entusiasmo specialmente le parti riguardanti l’insurrezione del 1848, incoraggiò l’autore a proseguire e, inoltre, gli fornì chiarimenti e documenti».
De’ Sivo inquadra l’aggressione al Regno delle Due Sicilie nel grande contesto della crisi rivoluzionaria che scuote l’Europa. Quello che avviene a Napoli viene confrontato e spiegato nella sua Storia con quanto avviene a Londra, a Parigi, a Vienna e nelle altre capitali europee sulla base dei documenti, della notizie ricevute dai corrispondenti, e dei giornali stranieri con i quali lo storico si informava. È così che de’ Sivo riesce a ricostruire la trama del complotto internazionale – in parte segreto per l’azione delle sette, prima fra tutte la Massoneria, in parte a cielo aperto – che portò alla fine del Regno dei Borbone.
Storico rigoroso (la sua Storia di Galazia Campana fu elogiata da Theodor Mommsen), privo di timori reverenziali nel denunciare l’azione svolta dei nemici aperti, de’ Sivo non risparmia neanche i liberali infiltrati nella Corte di Francesco II e ne rivela le responsabilità nella sconfitta, guadagnandosi così il loro odio.
La notizia della Storia alla quale de’ Sivo lavorava trapelò e si diffuse nelle Cancellerie europee. Un giornale inglese scrisse che l’opera veniva compiuta “sotto gli auspici del Quirinale” (al tempo residenza del Papa), ed una commissione nominata da Francesco II dette parere sfavorevole alla pubblicazione temendo – scrive Mascia – “la violenza delle dottrine” del suo autore, timorosa dei “risentimenti” che essa avrebbe potuto provocare.
Solo, privo di sostegno politico ed economico, lo storico di Maddaloni fece stampare alla fine del 1863 da un tipografo romano il primo volume della sua Storia. Le preoccupazioni di quanti avevano da temere le verità di de’ Sivo aumentarono e cominciarono i tentativi di impedire la pubblicazione dei volumi successivi.
Il secondo volume uscì nel 1864 e le pressioni si fecero più forti. Il generale Carlo Filangieri, che – come riporta lo stesso de’ Sivo – aveva risposto con un rifiuto a Francesco II che si recò di persona a chiedergli di combattere ancora per il Regno delle Due Sicilie, protestò con il Sovrano. Ma Francesco II, nonostante una certa cautela, cercò di far tradurre la Storia in tedesco e conferì a de’ Sivo la Croce di Cavaliere dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio.
Superando difficoltà, censure e boicottaggi, e dopo aver riscritto gli ultimi due volumi sulla base degli appunti personali perché il tipografo veneto ai quali li aveva consegnati per la stampa era fuggito, lo storico di Maddaloni riuscì a completare la pubblicazione dell’opera nel 1867. Fu l’anno della sua morte, avvenuta a soli 53 anni.
Neanche da morto i liberali, che fino all’ultimo avevano tentato di impedire la pubblicazione della Storia delle Due Sicilie, gli risparmiarono calunnie e sarcasmi. Il giornale cattolico romano “Il Veridico”, invece, ricordò in un necrologio l’orgogliosa affermazione di questo generoso combattente della battaglia delle idee: «Li ho infamati per l’eternità, perché la mia storia si leggerà finché dura il mondo».
«Il suo – scrisse Il Veridico – fu il rovescio del volgare patriottismo, odio alla Rivoluzione (…) egli riuscì ad infamarlo indelebilmente con la Storia del Reame delle Due Sicilie dal 1867 al 1861 e, pubblicatone l’ultimo volume, si morì, come uomo che avesse aggiunta la meta».
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