Uno dei luoghi comuni più diffusi dai media è che Islam e Cristianesimo abbiano molti aspetti in comune e ben poche differenze, essendo entrambe religioni monoteiste nate dalla comune radice biblica. Sottolineare le differenze tra cultura islamica e cultura occidentale, dunque, sarebbe un atteggiamento ottuso, che nasconderebbe spinte fondamentaliste degne dei peggiori Crociati.

In realtà le cose non stanno affatto così: le differenze tra Islam e Cristianesimo sono molte e di assoluto rilievo, a partire dal piano teologico a finire al piano della vita pratica, individuale e sociale, come ci spiega monsignor Walter Brandmüller, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, nella relazione tenuta al Convegno “Cristianesimo e Islam, ieri e oggi”, svolto a Roma il 13 dicembre 2005, presso la Pontificia Università Lateranense, nell’ambito delle celebrazioni per il quinto centenario della nascita di San Pio V. Il testo è stato diffuso dall’Agenzia Zenit (zenit.org)

 

«La differenza più forte tra cristianesimo e islamismo è a proposito di un tema centrale come la concezione di essere umano. Lo dimostra il fatto che molti Paesi islamici non hanno accettato la Dichiarazione dei diritti dell’uomo promulgata dalle Nazioni Unite nel 1948, o l’hanno fatto con la riserva di escludere le norme che contravvenivano alla legge coranica, cioè in pratica tutte», ha osservato Monsignor Brandmüller nel corso della sua relazione.

L’alto prelato ha ricordato che nella tradizione islamica non esiste il concetto di uguaglianza di tutti gli esseri umani, né quello di dignità di ogni vita umana: «La sharia [la legge coranica n.d.r.] infatti è fondata su una triplice disuguaglianza: tra uomo e donna, tra musulmano e non musulmano, tra libero e schiavo».

La prima di queste disuguaglianze porta conseguenze determinanti: «Nella tradizione islamica – ha precisato Brandmüller – all’uomo è consentita la poligamia, la donna non può avere più di un marito, non può sposare un uomo di altra fede, può essere ripudiata dal marito, non ha alcun diritto sulla prole in caso di divorzio, è penalizzata nella divisione ereditaria e dal punto di vista giuridico la sua testimonianza vale la metà di quella di un uomo»

Anche la seconda fondamentale disuguaglianza, quella tra mondo musulmano [dar al-islam = “casa dell’Islam” ] e mondo non musulmano [dar al-harb = “casa della guerra”; oppure dar al-kufr = “casa della miscredenza”], porta a conseguenze determinanti: infatti, «per i cristiani la conversione deve essere volontaria e individuale, ottenuta principalmente attraverso la predicazione e l’esempio.

Da parte musulmana, invece, sin dai primissimi tempi, la conversione è stata imposta con le armi.[…] L’espansione e l’estensione dell’area di influenza dell’Islam sono infatti avvenute attraverso le guerre con le tribù che non accettavano pacificamente la conversione, e questa andava di pari passo con la sottomissione all’autorità politica islamica».

Inoltre, «mentre il Cristianesimo si è diffuso nei primi tre secoli nonostante le persecuzioni e il martirio, per molti aspetti in contrapposizione al dominio romano, l’Islam si è imposto con la forza di una dominazione politica. […] Non stupisce, quindi, che l’uso della violenza occupi un posto centrale nella tradizione islamica».