(Lettera Napoletana) «Approvate il testo della legge costituzionale concernente le modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero di parlamentari?».
In Italia si voterà su questo quesito il 20 e 21 Settembre prossimi. Se i sì – come è largamente prevedibile – prevarranno (non è necessario un quorum, cioè un numero minimo di votanti) i deputati passeranno da 630 a 400 ed i senatori da 315 a 200.
I parlamentari sono troppi? Probabilmente sì, però il problema non è la loro quantità ma la qualità della loro rappresentanza.
Chi e che cosa rappresentano infatti gli attuali 945 senatori e deputati? Secondo l’articolo 67 della Costituzione “ogni membro del Parlamento” rappresenta “la Nazione” ed “esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
Si tratta di costruzioni ideologiche, di eredità teoriche della rivoluzione francese e del liberalismo. Nella realtà il deputato ed il senatore si preoccupano esclusivamente di quelli che lo hanno votato nel collegio elettorale dove sono stati eletti e che potranno rieleggerli. Quanto al divieto di mandato imperativo (cioè al divieto di rappresentare interessi di categorie e comunità naturali e territoriali), nella democrazia liberale sono solo ristrette minoranze ideologiche e clientele elettorali ad essere rappresentate con i loro interessi illegittimi.
Avere più o meno parlamentari, quindi, non cambierà niente nella qualità della rappresentanza. Le Comunità naturali (famiglie), i Municipi, le categorie, gli ordini professionali, cioè il Paese reale, continuerà a non avere voce, e deputati e senatori continueranno ad essere al servizio di ideologie, di interessi di partito e di lobbies mosse da interessi inconfessabili, che costituiscono il Paese legale.
Le teorie politiche scaturite dalla rivoluzione francese hanno trasformato la rappresentanza politica, che dovrebbe essere un rapporto fiduciario (come il rapporto con l’avvocato o con il medico) e di diritto privato, tra il rappresentante ed il rappresentato, in un rapporto di diritto pubblico, un “contratto” fondato su astrazioni giuridiche e fumisterie come l’idea giacobina di Nazione, una realtà puramente ideologica. Alla Nazione si apparterrebbe con un atto di volontà.
È chiaro che i rappresentanti dovrebbero, invece, rispondere ai loro rappresentati. Ma chi e che cosa dovrebbe essere rappresentato? Gli interessi legittimi dei territori (Municipi, regioni storicamente intese) delle categorie, degli Ordini professionali, cioè i corpi intermedi – così li definisce la dottrina sociale cattolica – che sono il Paese reale. È quello che si chiama rappresentanza organica.
Nella rappresentanza inorganica delle democrazie liberali, sempre più screditata dalla bassa partecipazione al voto, dal trasformismo degli eletti e dalla sfiducia verso i politici da parte degli elettori, ad avere voce sono solo le ideologie e gli interessi, spesso occulti, di partiti, lobbies e sette.