Ferdinando Russo nacque a Napoli il 25 novembre 1868, da Gennaro, ufficiale del dazio, e Cecilia De Blasio. Giovanissimo, abbandonando gli studi, entrò come correttore di bozze alla Gazzetta di Napoli per dedicarsi in seguito alla professione giornalistica.

 

Con la sua ricca produzione di testi, versi e canzoni, seppe essere vivido interprete dell’animo napoletano, tratteggiando personaggi e ambienti incontrati nella quotidianità di una Napoli popolare carica di dolente nostalgia per il recente passato, ancora ben vivo nella memoria, e di disincanto per il difficile presente.

 

Scrisse numerose raccolte di versi (‘N paraviso, 1891; ‘O cantastorie, 1895) e brevi poemetti, tra cui ‘O Luciano d’ ‘o Rre(1910) e ‘O suldato ‘e Gaeta (1919) sono certamente i più conosciuti.

 

Fu autore anche di romanzi (Memorie di un ladro, 1907; I ricordi del fante di picche, 1919), testi teatrali (Paranza scicca, 1921), saggi eruditi sulla letteratura napoletana (Il gran Cortese, 1913), canzoni e “macchiette” di successo.

 

Morì improvvisamente il 30 gennaio 1927, nella sua casa di Via Cagnazzi, mentre era intento a scrivere una nuova canzone.

 

 

Ai nostri lettori proponiamo il testo del poemetto in versi ‘O luciano d’ ‘o Rre che narra la storia di Luigi, un venditore di ostriche ormai avanti negli anni, che in gioventù aveva fatto parte della scorta di luciani, i fedeli marinai del borgo di Santa Lucia in Napoli che accompagnarono il re Ferdinando II di Borbone e la famiglia reale nel viaggio verso Bari, all’incontro con la principessa Maria Sofia di Wittelsbach, sposa dell’erede al trono Francesco II.

 

Durante il viaggio, iniziato nel gennaio 1859, Ferdinando accusò i gravi sintomi della misteriosa malattia che lo condusse alla morte in soli cinque mesi. Le prime avvisaglie si evidenziarono dopo il pernottamento presso il vescovo di Ariano Irpino (AV), Mons. Caputo, che in seguito fu ritenuto responsabile dalla convinzione popolare di aver avvelenato il Re.

 

L’accusa non fu mai mossa ufficialmente né fu confermata dai medici che ebbero in cura Ferdinando, ma rimase a lungo l’ipotesi più accreditata anche perché Mons. Caputo stesso, dopo l’unificazione della Penisola, allo scopo evidentemente di acquistare meriti agli occhi del nuovo potere sabaudo, si vantò in diverse occasioni di aver effettivamente causato la morte del monarca delle Due Sicilie.

 

Recentemente, nuove ricerche sul decorso della malattia, sottoposte dal prof. Gennaro De Crescenzo al parere scientifico di un eminente paleopatologo dell’Università La Sapienza di Pisa, il prof. Gino Fornaciari, hanno avvalorato la tesi che si sia trattato di una setticemia causata da un ascesso saccato, della ferita inferta a Ferdinando nell’attentato di Agesilao Milano, l’8 dicembre del 1856 [cfr. Gennaro De Crescenzo, Ferdinando II di Borbone. La patria delle Due Sicilie, Editoriale Il Giglio, Napoli 2009].

 

Nei suoi versi, Russo rievoca la morte del Re Ferdinando II, con la triste consapevolezza che essa segnò la fine del Regno, realizzando i piani di massoni e liberali ed aprendo le porte all’invasione piemontese. Le parole dell’ostricaro Luigi esprimono la dolorosa evidenza delle tragiche conseguenze di quella morte e quanto essa sia costata ai popoli delle Due Sicilie.