La Repubblica di Napoli la fecero i francesi .
Che cosa fu davvero la repubblica giacobina del 1799, nota come “Repubblica Partenopea”? Un’esperienza di governo durata sei mesi,di un gruppo assai ristretto di intellettuali affascinati dalla rivoluzione francese e formati in massima parte nelle logge massonica che si impadronì del potere grazie alle armi francesi e fu sconfitta dalla reazione del Paese reale (non solo il popolo dei lazzari, ma anche borghesi, clero e nobili). Fu un’esperienza sanguinosa, che scatenò una feroce repressione contro chi rifiutava quell’esperimento ideologico estraneo alla tradizione ed alla cultura delle Due Sicilie. Sulla cosiddetta Repubblica Partenopea riportiamo la risposta ad un lettore del giornalista Paolo Granzotto pubblicata su “Il Giornale” di giovedì 20 settembre 2007.
«Egregio Granzotto, in una trasmissione radiofonica inerente alle celebrazioni garibaldine ho udito dire che una volta instaurata la repubblica del 1799 i napoletani issarono il tricolore anticipando così la missione unitaria dell’Eroe dei Due Mondi. Ma il tricolore non era lo stendardo della Repubblica Cispadana? Cosa ci azzecca, nel 1799, col Risorgimento?» Guido Polizza (via e-mail)
«Niente, caro Polizza, non ci azzecca un bel niente. Oltre tutto, quello inalberato dai collaborazionisti napoletani non era il tricolore come lo si intende, cioè bianco, rosso e verde. Aveva i colori rosso, giallo e turchino del vessillo di una Loggia massonica partenopea. Certo che l’autore dei testi di quella trasmissione di storia patria ne sa proprio pochina. A parte il tricolore, come si fa ad affermare che i napoletani instaurarono la repubblica?
La repubblica fu instaurata dal generale Jean Etienne Championnet una volta che ebbe occupato Napoli. Championnet non faticò molto per trovare un Quisling, un Pétain che facesse al caso. Il primo della serie aveva nome Carlo Lauberg, poi cacciato su due piedi con l’accusa di peculato ed estorsione (presero allora a cantare, i napoletani: «È venuto lo francese cu’ ‘nu mazzo ‘e carte in mano: libberté, fraternité, egalité.Tu rubbi a me, io rubbo a te»).
Ma i veri detentori del potere (delegato) erano Mario Pagano, Eleonora Fonseca Pimentel, Ettore Carafa, Annibale Giordano… i «giaccubbini». I quali, ovviamente, a tutto pensavano meno che a uno Stato unitario, figuriamoci poi a uno Stato unitario sotto la corona dei Savoia. Erano della scuola di Robespierre: ai Re tagliavano, caso mai, la testa.
E mentre i «giaccubbini» piazzavano alberi della Libertà sotto i quali intrecciar girotondi, i francesi facevano quello che Napoleone aveva insegnato loro: razziavano, sequestravano, incameravano opere d’arte, beni della Corona, dei monasteri, dei Monti di pegni e delle banche.
Far passare tutto ciò per brodo di cultura risorgimentale è una fesseria. Idem spacciare per patrioti una manica di collaborazionisti, di traditori, che si misero al servizio dell’esercito di occupazione.
O fare della Pimentel, poetessa di corte fino all’arrivo di Championnet («Ddio nce lo guard’ e tenga / il prode Ferdinando / dalla superba fronte / marito e condottier», ella cantava. In quanto a Maria Carolina, la diceva «tempio di saggezza e di virtù». Questo prima. Dopo, Ferdinando diventa «imbecille tiranno» e Carolina «rediviva Poppea / tribade impura»), opportunista e voltagabbana una protomartire degli ideali nazionali.
Finì appesa, vero, ma come altrimenti poteva finire chi s’era fatta culo e camicia col nemico? Lasciò pochi rimpianti: «‘A signora ‘onna Lionora / che cantava ‘ncopp’ ‘o triato», recitava una ballata popolare, «mo’ abballa mmiez’ ‘o Mercato. / Viva ‘a forca ‘e Mastu Dunato! », il boia di Napoli.
(Comunque sia, va detto che se una volta liquidata, grazie a Ruffo di Calabria, l’effimera Repubblica l’«imbecille tiranno» mandò al capestro 120 collaborazionisti, nei pochi mesi cui furono al potere, i bravi, virtuosi, democratici giacobini impiccarono 1.563 «lazzari». Cioè patrioti. Veri).»
Paolo Granzotto
Il Giornale