La relazione tenuta dalla prof. Mariolina Spadaro al Convegno di Messina dell’11 marzo 2006, nel 145° anniversario della capitolazione della Real Cittadella.

Sappiamo davvero tutto di quanto accadde nei pochi tragici mesi che videro il crollo di uno dei Regni più saldi dell’intera Europa, e l’onta della sconfitta di uno degli eserciti meglio equipaggiati e disciplinati?

Ed è credibile che la fine del Regno delle Due Sicilie possa essere stata decretata solo da una guerra militare, nella quale la superiorità tattica, numerica, strategica avrebbe deciso l’esito della battaglia?

L’intera vicenda risorgimentale è stata, al di là delle battaglie militari e degli scontri fisici, soprattutto, una guerra delle parole, combattuta, ben più che sul piano militare, su quello ideologico.

Una guerra, cioè, che scaturiva dall’ideologia e che l’ideologia tendeva ad imporre: servendosi anche delle armi nel momento dello scontro, ma privilegiando molto di più e molto più a lungo le parole.

Una guerra che si combatteva, secondo i vincitori, per l’affermazione del progresso sociale e politico della penisola italiana divenuta “una”, e che parlava di libertà, di uguaglianza, di fraternità.

Questi principi, scaturiti dall’utopia rivoluzionaria, attendevano di essere estesi a qualunque modello di società, perché la loro validità era attestata dalla loro stessa capacità di realizzazione pratica, come gli avvenimenti di Parigi avevano dimostrato.

Il principio nuovo, che si affacciava pericolosamente sulla scena della storia, (e che, purtroppo, domina ancora oggi taluni tra gli avvenimenti più recenti) era quello dell’autoreferenzialità: il trionfo stesso della Rivoluzione aveva sancito la validità di quei principi e, dunque, di se stessa; quel modello, perciò, andava esportato ed imposto, anche con la forza delle parole, oltre che delle armi…

L’arroganza di linguaggio esprimeva, appunto, il cambio di mentalità, le mutate regole del gioco; altrimenti non sarebbe stato possibile al cospetto dell’Europa che “uno, dicentesi capitano d’Italia, entrato in guerra senza dichiarazione di guerra, perciò degno di morte per legge d’ogni nazione, appella “vile assassino” l’onorato soldato che difende la sua bandiera sull’ultime mura della patria assassinata”.

Il dramma della Cittadella di Messina e dell’intero Regno, caduto in balìa del nemico, è proprio racchiuso in questo rovesciamento di prospettiva, che è tipico della Rivoluzione, combattuta anche con le parole, per cui il bianco diventa nero, il giusto iniquo, la vittima assassino. una prospettiva in cui non ci sono regole da rispettare, se non quella della sconfitta dell’avversario ad ogni costo.

Il testo della relazione della prof.ssa Spadaro, La guerra delle parole, è disponibile nella pagina del Download / Documenti di storia delle Due Sicilie oppure cliccando qui

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