Il testo è la trascrizione di un incontro tenuto il 3 giugno 2004, a Napoli, da un importante esponente della comunità cristiano maronita libanese con i membri e i simpatizzanti del Comitato per il Libano. L’autore vive in Libano ed è impegnato nella difesa della comunità cristiana dal processo di islamizzazione. Per ovvi motivi di prudenza, il suo nome è stato omesso.

Cari Amici,
l’analisi della questione mediorientale e del rapporto tra Islam e Occidente è cosa molto complessa e non è possibile riassumerla in poche parole. Mi limiterò a fare soltanto un brevissimo excursus che tratteggia alcuni elementi della problematica.

La questione mediorientale

Per parlare di quello che succede e di come si vive oggi in Medio Oriente dobbiamo tornare indietro nella storia di 1400 anni. Con la nascita dell’Islam è nata la “questione mediorientale” attuale.

Prima del 600 d.C., il Medio Oriente era quasi completamente cristiano, ma con la nascita dell’Islam, che come si sa è una religione universalista, che rivolge la da’wa (l’appello), l’invito ad abbracciare l’Islam a tutti i non musulmani, è cominciata la sua espansione.

All’inizio soltanto culturalmente, ma poi le prime guerre di Maometto contro La Medina e La Mecca, hanno dato il via libera alla guerra per l’islamizzazione degli altri popoli. Anche se il Corano parla di tolleranza e prescrive che non si può essere obbligati a convertirsi ma che il fedele deve credere liberamente, questo è rimasto soltanto a livello teorico, perché sul terreno pratico la realtà era completamente differente.

Con l’inizio dell’espansione dell’Islam, dunque, e con le guerre dei musulmani al di fuori della penisola arabica è cominciata la crisi dei cristiani del Medio Oriente.

Cosa fare? O convertirsi all’Islam, o accettare di vivere come cittadini di seconda classe, o lasciare il proprio Paese, o resistere. È così che è cominciata la resistenza dei cristiani del Libano, tra gli altri. Questo meccanismo non si è mai interrotto e continua ancora oggi, anche se con aspetti più attuali, con differenti apparenze.

Con un salto notevole arriviamo al ventesimo secolo, che vede il declino dell’Impero Ottomano e all’intervento degli Occidentali nel Medio Oriente, che ha cambiato la carta geografica della regione. L’intervento occidentale, con un patto intercorso tra Inghilterra e Francia per l’influenza politica sulla zona, ha stabilito i confini dei vari Paesi arabi. Sono state stabilite le frontiere attuali di Libano, Siria, Giordania, Palestina, Iraq e del resto della regione, sostituendo l’asseto precedente determinato dal succedersi dei vari Imperi arabi, in cui i confini erano mobili a seconda dei cambiamenti politici degli imperi stessi. Per la prima volta si è avuta una definizione dei diversi Stati e questo, tra l’altro, ha permesso ai libanesi di conservare la propria indipendenza e confermare la propria esistenza nella regione.

Il nazionalismo arabo

Nel 1949, con la fondazione dello Stato di Israele e l’inizio delle guerre con Palestinesi, Giordania, Siria, nacque il nazionalismo arabo, come prima reazione alla presenza occidentale in Medio Oriente. Esso produsse uno slancio aspirazione all’indipendenza politica e all’affermazione della dignità dell’identità araba, tout-court identificata con quella musulmana, anche se si preferì non sottolineare l’aspetto islamico per imitare i modelli nazionalistici europei di quegli anni, il nazismo e il fascismo. L’apertura verso l’Occidente avuta con l’insediamento dei protettorati nella regione, aveva contaminato l’Oriente musulmano, portando ad adottare una concezione completamente estranea alla cultura araba, il nazionalismo appunto. 

Il maggiore incremento a queste spinte fu dato dalla costituzione del partito Baath (1947), in Siria e in Iraq, e del Partito socialista di Nasser, in Egitto. Questo nazionalismo adottò un modello politico socialista e, apparentemente, laico. In realtà, mentre si proclamava per esempio la laicità e la multiconfessionalità della scuola pubblica, di fatto si affermava che l’Islam era l’anima della nazionalità araba e l’islamizzazione è continuata. Infatti, anche il fondatore del partito Baath, Michel Aflaq, che era un cristiano ortodosso (il che avrebbe testimoniato la laicità del partito), si convertì all’Islam in vecchiaia, perché questa era la naturale conclusione delle scelte politiche nazionaliste arabe.
Il nazionalismo arabo dunque nacque a seguito della fondazione di Israele e del sostegno occidentale ad Israele. Questo che fu vissuto come una ingiustizia, fece sì che il nazionalismo si diffondesse in tutta la regione, come reazione contro questa nuova forma di “colonialismo” occidentale. 

Mi ricordo bene di quando ero bambino e vivevo al centro di Beirut, dove sono rimasto per i primi venti anni della guerra in Libano: nel 1977, quando Nasser era al culmine del potere e si era all’inizio della guerra contro Israele, le manifestazioni nazionaliste si susseguivano continuamente, inneggiando alla vittoria degli arabi sugli ebrei [soltanto dopo abbiamo saputo che in realtà tutte queste vittorie non c’erano mai state]. Uno degli slogan principali era «Oggi abbiamo vinto il “sabato”, domani vinceremo “la domenica”». Ricordo la preoccupazione della mia famiglia perché la vittoria di Nasser contro Israele avrebbe segnato la fine dei cristiani in Libano: il nostro destino era legato ai giochi in corso sull’intero scacchiere mediorientale.

Il fondamentalismo islamico

Il nazionalismo arabo causò la nascita del fondamentalismo islamico, ad esso contrapposto. Perché i musulmani, convinti che l’Islam debba essere vissuto totalmente, come fonte unica della legge, della vita e della cultura, si sentono frustrati dalla diffusione del nazionalismo, che considerano un passo indietro, un arretramento rispetto a quanto richiede la fede islamica. Essi sostengono che sia necessario ritornare alla purezza dell’Islam, perché il nazionalismo arabo instilla ambiguità nell’identità musulmana, anche proponendo il modello socialista, laico, ateo, come una possibilità politica attuabile nel Medio Oriente. Questo è un grande pericolo per i musulmani, che ritengono radicalmente impossibile per la religione islamica convivere con modelli occidentali, con il laicismo, con l’ateismo. Per questo, sulla scia delle scuole della da’wa avviate già nel 1911 per formare i formatori musulmani, furono aperte le scuole fondamentaliste musulmane, prima di tutto in Egitto, ad opera dell’organizzazione dei Fratelli Musulmani, perseguitati da Nasser.

Col tempo, il blocco fondamentalista dei Fratelli Musulmani si è diviso in una fazione “moderata”, della cui moderazione però non conosciamo i limiti, e una fazione che di fatto legittima la jihad, la guerra santa, anche se non la definisce esplicitamente in questo modo. Non si deve dimenticare, infatti, che il Corano divide il mondo in due parti: “la terra dell’Islam” (Dar al-Islam) [o “terra della pace”, Dar al-salam] e “la terra della guerra” (Dar al-Harb), cioè i Paesi dove vivono i musulmani e quelli dove vivono i “miscredenti”. Il fondamentalismo, dall’Egitto, si diffuse in Algeria e in Sudan, con minime differenze non sostanziali.

Ci sono due grandi scuole del pensiero fondamentalista: quella sunnita, diffusa in Egitto, Sudan, Algeria, Giordania, Iraq, e quella sciita proveniente dall’Iran, diffusa soprattutto in Iraq e in Libano – con il Partito Hezbollah, il “Partito di Dio” – sorto negli anni ’80, durante la guerra libanese.

Il panorama attuale

Il nazionalismo arabo è in declino, anche perché legato al crollo delle ideologie socialiste, e alla ricerca di una via per uscire dalla crisi culturale in cui si trova da diversi anni a questa parte. Si tratta di cercare il modo di affrontare le sfide attuali, di trovare un equilibrio con il fondamentalismo, quali sono i punti in comune e quali le differenze. Inoltre, molti regimi arabi nazionalisti sono visti come macchine politiche, legate agli interessi statunitensi per poter sopravvivere e per far fronte all’avanzata fondamentalista. Essi sono fortemente criticati sia dagli intellettuali nazionalisti, per questi loro legami con gli occidentali, che dai fondamentalisti.

Sul fronte opposto abbiamo il fondamentalismo islamico, fiorente nel mondo arabo, e che è riuscito ad assorbire nella propria sfera la causa palestinese. Era la causa del mondo arabo, prima, ma negli ultimi venti anni, la questione palestinese ha subito una vera e propria islamizzazione che la ha radicalizzata, portando la resistenza a livelli sempre più estremi. Lo scopo era di sfruttare questa guerra per richiamare gli arabi all’Islam e, al tempo stesso, di avere combattenti disposti ad immolarsi per la causa, perché “per l’Islam vale la pena morire”.

Questo processo è stato innescato per iniziativa dell’Iran khomeinista, attraverso la costituzione e il finanziamento dei partiti di Hamas, in Palestina, e degli Hezbollah, in Libano, i principali autori della strategia terroristica.
È questo il fattore che rende la guerra israelo-palestinese senza via d’uscita. Noi mediorientali, come vicini che quotidianamente assistono allo scontro palestinese-israeliano, non abbiamo speranza che tutto ciò possa finire presto. Ormai si tratta di una guerra santa, da entrambe le parti. L’islamizzazione della causa palestinese è stato un duro colpo, sia per Israele, sia per gli equilibri dei Paesi arabi, sia per la presenza occidentale, sia per la democrazia, sia per le sorti del Libano. Oggi infatti, i cristiani libanesi, e con essi i cristiani di tutti gli altri Paesi arabi, sono divenuti una minoranza, schiacciata tra due grandi potenze, quella ebraica, che ha il sostegno dell’Occidente, e quella islamica, dietro la quale c’è il terrorismo fondamentalista pronto a tutto.

Questo scenario ha dato la possibilità di svilupparsi a tante frange diverse: una di queste è Al Qaeda, di Osama Bin Laden. Osservatori francesi sul Medio Oriente, hanno rilevato che tra gli interessi di Bin Laden e quelli degli Stati Uniti c’era stata una convergenza, almeno in un primo momento. La famiglia di Bin Laden, infatti, è molto importante in Arabia Saudita, tanto da poter aspirare ad occupare il trono al posto dell’attuale famiglia reale. Queste ambizioni, più o meno esplicite, collimavano con gli interessi americani di destabilizzare l’Arabia Saudita e il Medio Oriente per cambiare gli assetti e gli equilibri nella regione. Personaggi locali che possano realizzare il cambiamento risultano funzionali a simili strategie. La famiglia Bin Laden rientra in questo quadro, e Osama stesso che ha l’ambizione di restaurare il Califfato in Arabia e anche in altri Paesi.

Questo cambiamento è in corso di realizzazione proprio ora. L’Arabia Saudita è bersagliata da una serie di operazioni terroristiche, alcune rese pubbliche e altre no, motivate dall’accusa di essere un Paese alleato degli Usa, anzi peggio, di essere contro la legge di Allah, perché la famiglia reale ha permesso che la sacra terra araba venisse profanata dalla presenza di installazioni dell’esercito americano, cristiano, e dalla celebrazione di funzioni religiose cristiane, come la Messa di Natale. I fondamentalisti hanno richiamato i musulmani a sbarazzarsi di questi “falsi credenti” che per i loro interessi economici accettato compromessi.

I cristiani arabi e i cristiani libanesi

I cristiani arabi si trovano nel mezzo di tutti questi giochi politici e strategici e la conseguenza principale è l’emigrazione, una continua emorragia che li allontana dai propri Paesi.
In Libano, una repubblica laica multiconfessionale, i cristiani erano il 53% e ora, secondo le statistiche ufficiali, sono scesi al 30%. Attualmente si discute se i cristiani libanesi che sono emigrati, anche soltanto da poco tempo, debbano conservare i diritti politici riconosciuti a tutti i cittadini residenti all’estero. I musulmani insistono perché gli sia negato il diritto di votare presso le Ambasciate e di partecipare alla vita politica e sociale del proprio Paese.

Il fatto è che si tratta di un milione di cittadini libanesi che lavorano attualmente all’estero e, se fossero conteggiati nelle statistiche ufficiali, la percentuale di cristiani tornerebbe al di sopra del 50% della popolazione. Di contro, negli ultimi anni sono stati naturalizzati, anche fittiziamente, centinaia di migliaia di palestinesi, siriani e beduini arabi.

Addirittura, nel collegio elettorale dove io stesso risiedo, che si trova in una zona geografica totalmente cristiana, abbiamo scoperto con sorpresa che erano iscritti nelle liste elettorali anche moltissimi musulmani. Il giorno delle elezioni, sono stati portati in pullman a votare. Si può dire che sia in atto una sorta di guerra demografica in Libano, non meno grave della guerra culturale che si sta combattendo già da tempo. Un mese fa (aprile 2004 n.d.r.), è stata presentata in Parlamento, nel quale i cristiani sono rappresentati soltanto da una corrente minoritaria filosiriana, l’ennesima legge per islamizzare i programmi di studio della scuola pubblica. Soltanto la forte protesta del patriarca cattolico Sfeir ha fermato, per il momento, l’approvazione della legge. Il Segretariato patriarcale per le Scuole Cattoliche ha denunciato l’impossibilità di molte scuole cattoliche di sopravvivere a causa dell’assoluta mancanza di aiuti pubblici: nel solo 2004 almeno 6 le scuole cattoliche hanno chiuso i battenti.

I cristiani libanesi, ma lo stesso vale anche per tutti i cristiani mediorientali, hanno di fronte a sé soltanto i regimi arabi “filoamericani” e il fondamentalismo islamico. Dei primi non possono fidarsi, perché gli Stati Uniti, che influenzano le loro scelte politiche, all’epoca della Guerra del Golfo, abbandonarono completamente il Libano nelle mani della Siria, segnandone il destino attuale. Inoltre, la loro politica di appoggio incondizionato ad Israele è considerata ingiusta. D’altra parte, accettare di convivere con il fondamentalismo islamico per i cristiani equivale ad un suicidio.

L’unica speranza che abbiamo è l’intervento e la posizione ferma assunta dal Vaticano, che dimostra saggezza, moderazione e profonda comprensione della problematica, ben oltre il piano strettamente politico.
I cristiani occidentali possono fare molto per i cristiani libanesi, per esempio evitando che siano costretti ad emigrare a causa delle difficili condizioni di vita e della povertà. Ma, soprattutto, possono far sì che i cristiani mediorientali si sentano compresi e sostenuti; possono far rinascere la speranza che le cose cambieranno anche grazie al loro appoggio e alla loro solidarietà.

L’Islam moderato

Esiste anche un Islam moderato, minoritario. È diffuso soprattutto nei Paesi arabi con un più elevato sviluppo socioeconomico. È rappresentato da credenti musulmani che, nel complesso del Corano, della sharia, dei discorsi di Maometto (gli hadit n.d.r.) e dei suoi successori, considerando alcuni principi strettamente legati all’epoca e al contesto in cui furono scritti e detti, operano una selezione. Per esempio, recepiscono la nozione di jihad, guerra santa, attribuendole una dimensione etica e spirituale. Ovviamente, questo tipo di fede è considerato dai fondamentalisti come incompleto, parziale, perché non adotta il messaggio islamico nella sua globalità.

Per poter esistere ed affermarsi, l’Islam moderato necessita dello sviluppo sociale, culturale, economico e anche dell’apertura alla civiltà cristiana. È ciò che è accaduto ad una parte dei musulmani libanesi, che hanno subito una mutazione sociologica frutto della coesistenza con i cristiani. È per questo che il Santo Padre ha indicato il Libano come “laboratorio di convivenza e di dialogo”.

In realtà, valutando obiettivamente, bisogna riconoscere che i moderati non sono musulmani a pieno titolo, perché non hanno solo modernizzato ma hanno eliminato una parte della loro fede e della loro storia. Il fondamentalismo, invece, vuole ripristinare integralmente i fondamenti della fede islamica – Corano, sharia, discorsi e comportamenti di Maometto e dei suoi successori – compresi gli aspetti violenti della loro storia di fede. Quindi, aggressione militare, poligamia, concezione della donna, tutto ciò che agli Occidentali appare come punti deboli dell’Islam, vengono presi alla lettera, come richiede l’Islam. È una concezione chiusa, che ritiene di poter adoperare la violenza, dandole il nome di jihad, al servizio della da’wa, per imporre l’Islam come l’adorazione “vera e giusta” di Allah.

Riassumendo, ciò che favorisce l’affermazione attuale del fondamentalismo, a parte gli elementi insiti nella religione islamica stessa, è il sottosviluppo socioculturale, il sentimento di ingiustizia e la sensazione di impotenza di fronte all’atteggiamento occidentale, soprattutto in relazione alla causa israelo-palestinese e agli attuali sviluppi che appaiono palesemente ingiusti.

Convivenza tra Cristiani e Islamici in Occidente

In conclusione, qualche parola sulla possibilità concreta per i cristiani in Occidente di dialogare e di trovare un equilibrio di convivenza con il musulmani.
È possibile soltanto a certe condizioni. Prima di tutto bisogna “essere” cristiani, testimoniare, vivere la propria identità in modo da far capire ai musulmani che in Occidente non c’è un vuoto culturale, un bisogno spirituale che solo loro possono colmare. Il relativismo culturale, il laicismo sociale, l’indifferenza dei cristiani nel difendere la propria fede, incoraggiano l’azione di penetrazione, quasi impongono ai musulmani il dovere dell’islamizzazione. Forniscono loro la motivazione, “salvare i miscredenti occidentali”, nella convinzione che questi abbiano perso la fede perché il cristianesimo non risponde ai veri bisogni dell’uomo. L’Islam, invece, ritiene di possedere tutte le risposte su come organizzare la vita personale, sociale, politica, culturale; l’Islam impone una disciplina.
Dunque, laicismo, relativismo, indifferentismo sono fattori che favoriscono l’islamizzazione; ciò che, invece, favorisce la possibilità di una convivenza pacifica, è dotarsi di strumenti legislativi che stabiliscano fermamente le regole.

Questo oggi vale soprattutto per i Paesi europei a forte immigrazione islamica: bisogna affermare con chiarezza l’identità culturale occidentale, insieme all’impianto giuridico e all’organizzazione sociale che ne derivano.
Con questo non intendo dire, ovviamente, che i musulmani debbano subire le stesse discriminazioni e limitazioni che opprimono i cristiani in Arabia Saudita; ma è necessario che i Paesi europei che ospitano comunità islamiche numerose si presentino con un’identità forte, che credano nei valori che sono alla base della società occidentale e che li difendano con fermezza.