Quaderni di Documentazione e Ricerca  raccolgono in un agevole formato, le relazioni dei convegni di Gaeta, organizzati dall’Editoriale Il Giglio per celebrare la Festa Onomastica di S.M. il Re Ferdinando II.

Opuscolo a stampa (formato A5 cm15x21)

pag. 26,  € 6,00

 

  

 

 

Il buon governo napoletano

«Eravamo barbari e pure eravamo in possesso dei migliori ordinamenti. Che i nostri ordini amministrativi fossero eccellenti e per alcuni particolari superiori anche ai francesi lo hanno dimostrato parecchi nostri scrittori né lo contrastano i francesi stessi” e lo stesso si poteva dire per “gli ordini finanzieri”, per “la nostra procedura penale”, per “i temperamenti della pubblica istruzione”, per “gli ordini della magistratura” come per la “completa legislazione per la pubblica beneficenza”.
Le critiche positive verso la politica dei Borbone emergono di frequente analizzando (come in questo caso) i testi di scrittori filo-governativi o quelli di storici anti-governativi che molto spesso non potevano evitare di riportare fatti e dati oggettivi.
Ne può derivare un quadro interessante poiché alcuni di questi fatti o di questi dati possono essere ancora utili costituendo dei parametri di giudizio molto vicini a quelli attuali. Il rapporto (oggi quasi inesistente) tra Stato e cittadini risulta infatti ancora legato al buon funzionamento degli uffici pubblici, alla correttezza, alla preparazione e all’onestà dei pubblici impiegati, alla realizzazione di opere pubbliche anche in relazione al peso fiscale, all’ordine pubblico o alla sicurezza sociale che lo Stato deve assicurare, al rispetto e alla valorizzazione di culture, tradizioni e vocazioni.
Non avendo, però, tempo e spazio per esaminare tutta la politica dei Borbone nei suoi vari settori, vale la pena fare riferimento a qualche legge e a qualche osservazione in particolare che possiamo utilizzare da esempio, tralasciando aspetti che meriterebbero più di un approfondimento (pensiamo solo ai provvedimenti per “per rendere più lieve alle popolazioni il peso delle imposte” o alle bonifiche per favorire l’agricoltura o alle numerosissime istituzioni per l’assistenza e la beneficenza diffuse in tutto il Regno).

“Nessun ministro ebbe mai voce di ladro”; “i capi della nostra Tesoreria hanno maneggiato per cinquanta e più anni centinaia di milioni di ducati e sfidiamo chicchessia a citare un nome solo che sia rimasto macchiato”; “i molti amministratori delle provincie […] sono usciti di carica poveri e molti morendo hanno rimasta onorata povertà per unica ricchezza alla loro famiglia”.
Sui contratti pubblici non si poteva “far lucro”: basti pensare che le gare per gli appalti prevedevano l’aggiudicazione ulteriore “di decima e di settima” dopo l’aggiudicazione definitiva per dare spazio ad eventuali migliori offerte.»

Indice

Gennaro De Crescenzo –  I Napoletani e lo Stato delle Due Sicilie 

Mariolina Spadaro  –  Il modello amministrativo borbonico

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