Mario Montalto
I Cacciatori Napoletani 1821-1861
prima edizione 2010
pagine 78, 8 immagini a colori
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Le sensiglie erano bandiere reggimentali appartenenti ai Tercios della Napoli ispanica.
Riadottate dalla fanteria dell’Esercito delle Due Sicilie, erano segni distintivi dei tre battaglioni reggimentali. Con questa nuova collana, che presenta testi facilmente fruibili che mettono a disposizione del lettore informazioni altrimenti disperse e difficilmente reperibili, Il Giglio vuole raccogliere la forza simbolica degli antichi stendardi militari per difendere, con lo stesso spirito, la memoria storica delle Due Sicilie.
Il terzo volume della collana è dedicato ai Cacciatori Napoletani, corpo scelto dell’Esercito delle Due Sicilie.
L’autore è ancora una volta il contrammiraglio Mario Montalto, esperto di storia militare e collaboratore della rivista L’Alfiere.
Insieme ai precedenti L’Esercito delle Due Sicilie e La Marina delle Due Sicilie, costituisce un agile strumento di sintesi sulla storia delle armi borboniche, a partire da re Carlo a Francesco II, punto di partenza per più approfondite ricerche, da collezionare e regalare per la precisa ricostruzione storica e per l’elegante veste grafica.
Il contesto storico
Sin dall’antichità, gli eserciti si sono dotati di corpi di fanteria leggera, come i Velites romani. In tempi moderni, e ancora oggi, i Cacciatori costituiscono le truppe scelte per reclutamento, addestramento, armamento, qualità degli ufficiali e dei sottufficiali.
I reggimenti dei Cacciatori Napoletani, a Cavallo, di Linea e della Guardia, erano la punta di diamante dell’Esercito borbonico, distinguendosi dagli altri corpi di fanteria anche per la giovane età di soldati ed ufficiali.
La loro origine risale al regno di Ferdinando I, che nel 1788, costituì cinque reggimenti di Volontari Cacciatori di Frontiera, a reclutamento locale e con il compito di sorvegliare i confini terrestri.
Nel 1821 il corpo sarà poi trasformato assumendo la formazione che conserverà fino alla fine del Regno, con l’istituzione di due reggimenti di granatieri e quattro di fanteria di linea, del Corpo dei Cacciatori Reale e del Reggimento Cacciatori.
Nel 1861, i battaglioni Cacciatori di Linea saranno 16 e i Cacciatori a Cavallo si distingueranno fra tutte le unità di cavalleria, tanto da essere l’unico reggimento di tale arma ammesso nella fortezza di Gaeta.
Presenti alle maggiori vicende del Regno, a partire dai moti del 1820, avranno ruoli di primo piano, nel bene e nel male, soprattutto nelle vicende del 1860-61, della battaglia del Volturno e dell’assedio di Gaeta, alle quali l’autore dedica ampio spazio.
Anche questo elegante volumetto, come tutta la collana Le Sensiglie, è arricchito da otto immagini a colori che riproducono le divise dei Reggimenti Cacciatori a Cavallo e di Linea, tratte dalla splendida opera Tipi Militari dei differenti Corpi che compongono il Reale Esercito e l’Armata di Mare di S. M. il Re del Regno delle Due Sicilie, pubblicata a Napoli nel 1850, con le litografie di Antonio Zezon, su disegni di A. Di Lorenzo.
L’autore
Mario Montalto è nato a Napoli nel 1934 ed è stato ufficiale di carriera nella Marina Militare, congedandosi con il grado di Contrammiraglio. Allievo dell’Accademia Navale, ha frequentato i corsi di Stato maggiore dell’Istituto di Guerra Marittima, l’Istituto Stati Maggiori Interforze e il Centro Alti Studi della Difesa. Studioso di storia militare, ha collaborato alla rivista L’Alfiere. Un suo antenato partecipò il 21 settembre 1860 al vittorioso scontro di Caiazzo, dove i napoletani misero in fuga Garibaldi.
È autore di numerosi articoli sulla storia militare del Regno e di altri due volumi de Le Sensiglie, L’Esercito delle Due Sicilie e La Marina delle Due Sicilie.
Il brano scelto
La battaglia del Volturno
«Il 1 ottobre le truppe napoletane attaccarono da Capua, travolgendo le prime linee garibaldine. Lo stesso Garibaldi fu sorpreso da un drappello di Cacciatori dell’11° Battaglione al comando dell’alfiere Mariadangelo ed ebbe ucciso il cocchiere e un ufficiale del suo Stato Maggiore; egli e i suoi si salvarono buttandosi in una cunetta che fiancheggiava la strada e a piedi, nascondendosi nella fitta vegetazione, riuscirono faticosamente a raggiungere i loro avamposti.
Quella del Volturno fu la battaglia decisiva, condotta offensivamente dai borbonici e difensivamente dai garibaldini. Fu assai dura e cruenta per entrambe le parti: l’una puntava a riaprire la strada per Napoli, rientrare nella città e sollevare la popolazione contro gli invasori; l’altra ad impedirlo, atteso anche che la liberazione della capitale avrebbe potuto segnare l’inizio di una insurrezione generale (e che questo potesse avvenire fu confermato da diversi tumulti pro borbonici che scoppiarono nell’immediata periferia di Napoli, quando giunse voce che il nostro esercito aveva attaccato battaglia e stava vincendo). Per entrambi i contendenti fu l’unica vera, importante battaglia campale combattuta dallo sbarco di Marsala e ad essa parteciparono anche reparti piemontesi.
La strada per Napoli non fu aperta e questo segnò la fine. I nostri soldati si batterono tutti con coraggio e determinazione, con la sola eccezione, secondo qualche fonte, dei Granatieri della Guardia.
Il Volturno costituì anche l’epopea dei Cacciatori: a Santa Maria, a Sant’Angelo gli uomini delle brigate Polizzy e Barbalonga, vale a dire i Cacciatori dei Battaglioni 7°, 8°, 9° e 10° e quelli del 2°, 11°, 14° e 15° fecero prodigi di valore: con il preciso fuoco dei loro fucili e con furiosi attacchi alla baionetta affrontarono il nemico, stanandolo man mano dalle sue posizioni; “i mai abbastanza lodati Cacciatori” li definisce Angelo Mangone. A Santa Maria combatté valorosamente anche il 3° Battaglione del maggiore de Cosiron del Rgt. Cacciatori della Guardia agli ordini del colonnello de Grenet. I Cacciatori a Cavallo, poi, operarono dovunque, frazionati in squadroni e addirittura in plotoni perché nessuno voleva privarsi del loro prezioso apporto.
Come accennato in precedenza, errori di non poco momento furono commessi sia nella individuazione sia nella attuazione delle operazioni componenti, errori che Teodoro Salzillo dettagliatamente elenca nel suo volume:
I. Essere troppo estesa la linea di combattimento, da Capua ai ponti della Valle, ove si distinse per coraggio e valore il Cav. Francesco de Lellis, 1° tenente del 2° Ussaro.
II. Non aver pensato per una riserva, ed aver nel tempo stesso impiegate tutte le forze a battagliare dall’alba di quel giorno.
III. Di non aver saputo trarre partito dall’imponente cavalleria.
IV. Non aver compreso la vittoria delle armi del Re, per arrestarsi a Capua e non marciare il due ottobre contro le sgominate schiere garibaldine.
E quest’ultimo errore, frutto della natura troppo prudente e temporeggiatrice del generale Ritucci, che prevalse sulla intuizione di Sua Maestà, il quale aveva perfettamente compreso la portata della vittoria delle sue armi, e voleva che si attaccasse nuovamente subito, fu certamente il più grave e decisivo. E la giustezza del punto di vista del Sovrano è ulteriormente di mostrata dalle disperate richieste di soccorso lanciate da Garibaldi ai Piemonte; nello Stato Sabaudo, poi, si era ben capito che le camicie rosse erano ormai “cotte”. In una lettera del 3 ottobre 1860, infatti, Cavour scriveva a Vittorio Emanuele: «Garibaldi non è più da temere. Villamarina mi dice che è ridotto all’impotenza, Medici anche. Tutti e due pregano V.M. di venire subito in soccorso di Napoli, per impedire che ricada ai Borboni».
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