(Lettera Napoletana) La figura di Mons. Giandomenico Falconi (1810-1862), prelato di Acquaviva ed Altamura, viene ricostruita in un saggio di Don Luciano Rotolo, studioso di storia delle Due Sicilie ed animatore della Fondazione Francesco II di Borbone (“La vicenda di Mons. Giandomenico Falconi, Prelato di Acquaviva e di Altamura”, Edizioni Viverein, Roma 2015, pp. 119, € 10).
Nato a Capracotta (Isernia) da una antica famiglia del luogo, che serviva da generazioni lo Stato, sentì la vocazione al sacerdozio da ragazzo. Segretario dell’Arcivescovo di Bari Michele Basilio Clary (1778-1858) fu nominato Arciprete di Acquaviva delle Fonti (Bari) e successivamente Prelato di Acquaviva delle Fonti ed Altamura. Vescovo titolare di Eumenia, dottore in Diritto civile e canonico ed in Teologia, era fedelissimo ai Borbone. Nel 1853 – riferisce l’autore – in occasione dell’inaugurazione di un busto in marmo di Re Ferdinando II, commissionò al maestro Nicola De Giosa una cantata da eseguirsi durante la cerimonia, la cui partitura originale è conservata nel Conservatorio di San Pietro a Majella, a Napoli.
Nel 1859, durante il viaggio in Puglia Ferdinando II, che si recava ad accogliere Maria Sofia di Wittelsbach, sposa dell’erede al trono Francesco II, ricevette ad Acquaviva accoglienze trionfali. “I preparativi per le feste – scrive lo storico liberale Raffaele De Cesare nel suo La fine di un Regno, senza nascondere la sua antipatia – erano stati diretti da Mons. Falconi”. Ma, in realtà, tutto il viaggio in Puglia di Ferdinando II – come ammette lo stesso De Cesare – fu trionfale, perché il Sovrano e la dinastia dei Borbone, ancora un anno prima dell’invasione piemontese, godevano di una straordinaria popolarità in tutto il Regno.
Ferdinando II decise di pernottare ad Acquaviva nel Palazzo di Mons. Falconi proprio per la fiducia che riponeva nel prelato.
Alla morte di Ferdinando II, Mons. Falconi scrisse un elogio funebre del Sovrano, che è riportato integralmente e commentato nel libro. I meriti del Re, la sua capacità di governo, vi trovano ampio riconoscimento, insieme alle attestazioni di fedeltà alla Dinastia borbonica. A testimonianza della clemenza di Ferdinando II, Mons. Falconi riporta una statistica significativa: tra il 1849 ed il 1856 furono 2.686 gli imputati di reati politici graziati con il perdono. Per 12.723 processi per reati politici Ferdinando II dispose la sospensione. “Dal 1856 al 1858 – scriveva Mons. Falconi – le carceri rimanevano quasi interamente vuote”
Subito dopo l’invasione piemontese Mons. Falconi subì, come altri 54 Vescovi del Regno delle Due Sicilie (su un totale di 65) la persecuzione del nuovo regime. I liberali lo accusarono di “scelleratezze” e lo costrinsero ad abbandonare la diocesi e a rifugiarsi a Capracotta. Ma il Vescovo “patriota” – come lo definisce Don Rotolo – nel giorno del Venerdì Santo del 1861 pubblicò una Lettera Pastorale sul giornale “L’Unità cattolica” (n. 22, 1861), nella quale riconfermava le sue posizioni.
La Lettera suscitò la reazione rabbiosa dei liberali, che replicarono con un lungo scritto anonimo carico di livore e di insulti, allegata come documento al libro.
Mons. Giandomenico Falconi morì il giorno di Natale del 1862 a Capracotta, dove fu sepolto nella Chiesa Madre. “Negli anni ’60 – scrive Don Luciano Rotolo – la tomba fu aperta per una verifica in vista della ventilata apertura della causa di canonizzazione ed il suo corpo fu trovato non solo incorrotto, ma in posizione seduta”. (LN95/15).