L’eutanasia è una forma di suicidio o di omicidio legalizzato, la cui orrenda realtà resta evidente nonostante il pesante maquillage fatto di definizioni ipnotiche e di presentazioni falsamente compassionevoli.
Infatti, secondo una ben nota e collaudata tecnica – la “finestra di Overton” – messa in atto per abbassare il livello di repulsione che scatta naturalmente in ciascuno di noi di fronte a realtà aberranti, e che provoca l’immediata reazione, l’eutanasia viene propagandata come “pietoso rimedio”, dolce morte” o “uscita dignitosa”.
Persone in perfetta buona fede, animate da sincera compassione per chi soffre, sono indotte a pensare che procurare a se stessi o a una persona cara una morte “dolce” e “dignitosa” possa essere non solo un atto lecito ma addirittura preferibile ed auspicabile, in caso di malattie lunghe e/o inguaribili.
Per confutare questa follia, dovremmo addentrarci nell’analisi dell’ideologia totalmente anti-umana che trova espressione nell’eutanasia, e della cultura materialistica che ne è alla base, la quale attraverso il “giovanilismo”, l’efficientismo, il sensualismo, lo “scientismo” cerca di convincere l’uomo post-moderno di essere in grado di “volere e potere” e realizza il grande inganno cancellando dal suo orizzonte la debolezza, il limite, la caducità.
A volte, però, l’orrore della realtà è tanto evidente che non servono altre spiegazioni e la storia di Terri Schiavo, che nel 2005 commosse il mondo intero, ci dimostra quanto poco ci sia di “dolce e dignitoso” nell’eutanasia.
Theresa Marie Schindler, sposata con Michael Schiavo, era una donna statunitense che, nel 1990, all’età di 27 anni, a causa di un arresto cardiaco riportò danni cerebrali irreversibili e cadde in “stato vegetativo persistente” a causa del quale fu necessaria l’alimentazione con tubo addominale. Otto anni dopo, il marito chiese la rimozione del tubo di alimentazione ma i genitori di Terri si opposero. Ebbe inizio una lunga e serrata vicenda giudiziaria che si concluse soltanto nel 2005, quando il Tribunale della Florida, ordinò la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale.
Quelli che seguono sono gli eventi clinici che si sono succeduti negli ultimi giorni di vita di Terri, così come sono stati riportati nella cartella sanitaria, pubblicata dal blog thrownback.blogspot.com, animato da don Rob Johansen, che ha riportato il protocollo di «revisione medica e gestione dei sintomi» stabilito nei minimi dettagli dall’ospedale Florida Suncoast di Tampa, dove è stata praticata l’eutanasia.
Dalla documentazione clinica si scopre che l’espianto del tubo di alimentazione e idratazione fu eseguito il 18 marzo 2015. Nei giorni successivi, a Terri furono somministrate dosi di farmaci crescenti per alleviare la sofferenza e le conseguenze neuro-vegetative dell’agonia durata 13 giorni.
Al comparire dei primi dolori, il Naproxen, un antinfiammatorio, fu somministrato per via rettale ogni otto ore.
La pelle disidratata iniziò ad ulcerarsi, a partire dalle labbra; fu consultato anche uno specialista nel campo della rimarginazione delle ferite.
Lo stato generale si aggravava di giorno in giorno: la produzione della saliva si bloccò e fu sostituita con un preparato che evita il peggioramento delle lacerazioni e l’emissione di fiato acido;
i polmoni, che necessitano della saliva per mantenere umidificate le secrezioni interne, cominciarono ad emettere un rantolo continuo, che si cercò di smorzare prima con la scopolamina, somministrata nelle orecchie ogni tre giorni, poi con un aerosol alla morfina;
successivamente si fermò anche la produzione di urina;
lo scompenso elettrolitico, dovuto alla disidratazione, provocò spasmi muscolari incontrollabili, che furono in parte sedati con 5-10 mg di Diazepam ogni quattro ore; alla fine, la dose di sedativo arriva a 15 mg.
Infine, alle 9:05 del 31 marzo 2005, un ictus pose termine alle sofferenze di Terri.
Chi augurerebbe una morte altrettanto “dolce” e “dignitosa” a se stesso o a un proprio caro?
29.04.2005
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