(di Annamaria Nazzaro) Solo all’inizio degli anni ‘50 gli Stati Uniti, che avevano combattuto la seconda guerra mondiale insieme all’Unione Sovietica di Stalin, cominciarono a rendersi conto degli effetti reali del comunismo, che fino ad allora aveva goduto di ampie simpatie e complicità da parte di banchieri e capitalisti.

Il senatore Joseph Mc Carthy (1908-1957), poi demonizzato dalla sinistra internazionale che coniò il termine dispregiativo “maccartismo”, cominciò a preoccuparsi del lavoro di infiltrazione di agenti comunisti nell’amministrazione statunitense e della presenza di spie sovietiche sul territorio nazionale.

Ma fu una breve stagione, chiusa nel 1961 dall’elezione alla presidenza di John Kennedy (1917-1963), che inaugurò la cosiddetta “coesistenza pacifica” con l’URSS, favorendo così gli enormi progressi del comunismo nel dominio del mondo.

Si dovette arrivare all’inizio degli anni ’70, quando gli USA combattevano la guerriglia comunista in Vietnam, nel Laos ed in Cambogia perché il Senato incaricasse un gruppo di studiosi di tracciare un bilancio del costo in termini di vite umane della rivoluzione comunista.

Lo rileva Oscar Sanguineti nell’introduzione alla nuova edizione italiana de “Il costo umano del Comunismo(Conquest, Walker, Eastland, Hosmer, Il costo umano del Comunismo, a cura di Oscar Sanguineti, D’Ettoris Editori, Crotone 2017, pp. 238, € 19.90).

Tra il 1970 ed il 1972 furono consegnati al Senato degli Stati Uniti il rapporto dello storico Robert Conquest The Human cost of Soviet Communism” (1970), il rapporto dello studioso ed ambasciatore americano in Corea Richard WalkerThe human cost of Communism in China” (1971) ed il rapporto coordinato dal senatore democratico del Mississippi James EastlandThe human cost of Communism in Vietnam” (1972).

Probabilmente, lo studio servì a coprire gli errori della disfatta americana in Vietnam, durante la presidenza di Richard Nixon, dal 1969 al 1974, e a favorire il ritiro delle truppe USA senza troppo disonore.

Il rapporto fu redatto circa 50 anni fa e i dati riportati si riferiscono alla fine degli anni ’70, epoca in cui il comunismo era vivo e la sua ideologia era radicata, e, dunque, fatti e numeri riferiti risultano parziali ed approssimati per difetto. Era, infatti, difficile, se non impossibile, per osservatori o incaricati stranieri accedere a dossier protetti dal segreto. L’indagine è, evidentemente, limitata nel tempo e nello spazio.

Viene valutato il costo umano del comunismo, nella sua versione marxista-leninista, dalle origini ai primi del ‘900 fino agli anni ’70, in URSSCina e Vietnam, mentre non vengono considerati i dati relativi ai Paesi satelliti dell’URSS. 

Con questa contabilità limitata, si arriva ad un numero di vittime pari a sessanta milioni di morti, numero destinato ad accrescersi dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine del blocco comunista e del Patto di Varsavia.

Le vittime accertate, provocate durante l’ascesa e il potere comunista, ammontano – secondo il rapporto commissionato dal Senato Usa – a non meno di 100 milioni.

Da tali cifre sono escluse vittime di guerre e di altri fattori a queste correlati, vittime di carestie o epidemie. 

Un numero, comunque, quasi raddoppiato all’indomani della dissoluzione dell’Impero sovietico.

Il costo umano del Comunismo” resta un’opera fondamentale per una valutazione d’insieme del marxismo-leninismo, la versione più aggressiva del comunismo. Il libro descrive con fatti e cifre una fase della storia del comunismo e della lotta comunismo-anticomunismo, sottolineando la perversa natura del legame esistente tra l’ideologia comunista ed i crimini commessi in suo nome contro l’uomo, e soffermandosi non soltanto sul numero delle vittime ma sull’entità e la qualità della violenze.

La nuova edizione curata da Oscar Sanguineti, presenta una traduzione quasi totalmente rivista rispetto all’edizione italiana uscita nel 1973 (Robert Conquest, Il costo umano del Comunismo, Edizioni del Borghese, Milano 1973), con l’integrazione e l’aggiunta di note.

Il rapporto di Conquest e quello di Walker sono riportati integralmente, del rapporto sul Vietnam che comprendeva una serie di brani ed articoli preceduti da una sintesi di Eastland viene riportato invece un ampio saggio dello studioso di strategia militare e giurista Stephen Hosmer, il più significativo, che appare anche nell’edizione italiana del 1973.

Massacri, violenze e, persecuzioni dei comunisti hanno provocato l’annientamento psichico e la morte fisica di milioni di persone, nel nome della lotta di classe e dell’utopica futura “età dell’oro” che sarebbe subentrata alla “dittatura del proletariato”.

Per questi massacri, violenze e persecuzioni, al di là di superficiali mea culpa di alcuni ideologi e dirigenti politici, nessuno ha mai veramente pagato. 

Le Fosse di Katyn (l’esecuzione di massa di circa 22mila ufficiali polacchi, avvenuta nel 1940 e falsamente attribuita dai sovietici ai tedeschi, tesi sostenuta propagandisticamente dai partiti comunisti di tutto il mondo) o l’internamento in cliniche psichiatriche di migliaia di oppositori, i GUlag sovietici e i Laogai cinesi, questi ultimi ancora pienamente funzionanti, sono episodi rimasti impuniti.

Nessuna Norimberga vi è stata per i responsabili di questi stermini.

In realtà, non si sono istruiti processi politici contro i responsabili da parte del mondo occidentale libero anche per evitare di aprire armadi contenenti imbarazzanti scheletri che facessero pensare alla correità.

È bastato, dunque, che “i nipotini di Lenin” ammettessero pubblicamente il fallimento dell’esperimento comunista e concedessero poche ed effimere libertà, perché tutto fosse messo a tacere e passasse all’archivio della storia.

Il comunismo – documenta il rapporto di Conquest, Walker, Eastland ed Hosmer – ha prodotto vittime innocenti sia durante la sua ascesa sia dopo la conquista del potere, in nome del suo progetto antinaturale di società. In realtà, ha privato l’uomo delle sue libertà concrete per l’illusione di un futuro migliore.

La rivoluzione comunista è sinonimo di terrorismo, un terrorismo senza bombe o kalashnikov, un ”terrorismo con terrore”. Il terrore di essere privati della libertà e della possibilità di sopravvivere, poi il terrore di una barbara uccisione. (LN119/18) .

 

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