Nicola Bux

COME ANDARE A MESSA e non perdere la fede

con  un contributo di Vittorio Messori

prima ed. 2010;  pagine 208

€ 15,00 – sconto Soci 30%

 

Cinquant’anni di riforma liturgica hanno profondamente mutato il modo dei fedeli di partecipare alla S. Messa e il significato della loro partecipazione.

Abbandono del latino, la lingua sacra; diversa disposizione dell’altare, non più rivolto ad Deum ma verso il popolo; delocalizzazione del tabernacolo; offuscamento del significato di sacrificio nella liturgia; introduzione di musiche e sonorità mondane; partecipazione intesa più come manifestazione esteriore che come adesione del cuore e atto di adorazione, sono solo alcuni dei cambiamenti che hanno contribuito a compiere una sorta di “rivoluzione copernicana” della Messa, divenuta “assemblea dei fedeli presieduta dal celebrante”.

Ne è derivata una graduale desacralizzazione del rito, che ha distolto lo sguardo del fedele dal protagonista, Gesù Cristo innalzato sulla croce, per collocarlo all’interno di un rapporto circolare tra sacerdote e popolo. La fruibilità delle lingue vernacolari non ha reso più comprensibile l’avvenimento della Messa ma, anzi, in qualche modo lo ha banalizzato e, riducendone la dimensione simbolica, ha condotto il rito sacro – porta aperta sul divino – nell’alveo della più prosaica operatività umana.

In questo rivolgimento di prospettiva, il posto del Protagonista è stato occupato sempre più invasivamente dal sacerdote e i fedeli sono divenuti degli spettatori attivi. Negli ultimi anni in particolare, inoltre, abbiamo assistito alla spettacolarizzazione della Messa – spesso infatti accompagnata dagli applausi dei partecipanti – e alla diffusione di veri e propri abusi liturgici, alcuni gravissimi e macroscopici (basta dare un’occhiata ai numerosi video su You Tube), altri meno vistosi ma non per questo meno deleteri, come la ridondanza di testi esplicativi, d’introduzione alle letture, di riflessione comunitaria ecc., che si vanno ad aggiungere alle già verbose “prediche”, spesso prive di consistenza teologica e dottrinale ma ricche di opinioni personali e di considerazioni sociologiche.

Don Nicola Bux nel saggio Come andare a Messa e non perdere la fede, ci ricorda che “la festa della liturgia è diversa dalla festa mondana: non vive di trovate accattivanti, non è un intrattenimento che deve aver successo, non deve provocare emozioni, non deve esprimere l’attualità effimera ma il mistero permanente: l’azione a cui prendiamo parte è il dono di Cristo sulla croce“.

Il mistero del sacrificio salvifico di Cristo riattualizzato dalla Messa non è cosa che la mente umana possa realmente “comprendere”, né può essere spiegato moltiplicando le parole o reso visibile con gesti ordinari.

Soltanto la sacralità del gesto, la dignità solenne del rito, l’atteggiamento del corpo nella preghiera e il silenzio dispongono l’anima ad aprirsi al mistero e a contemplarlo, perché “non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi” (Antoine de Saint-Exupéry).

 

Il testo

Come andare a Messa e non perdere la fede è stato pubblicato per la prima volta nel 2010, sotto il pontificato di Benedetto XVI che aveva avviato una riforma della liturgia, la “riforma della riforma”, con la quale intendeva correggere gli eccessi indotti dal cosiddetto “spirito del Concilio”.

Uno dei frutti del desiderio del Papa di ripristinare una corretta interpretazione della liturgia, in linea con il Magistero e con la Tradizione bimillenaria della Chiesa, è stato il Motu Proprio Summorum Pontificum (2007) che ha riaffermato la possibilità di celebrare la Messa in rito romano antico, mai abrogato o proibito ma di fatto reso inaccessibile in molte diocesi (vedi anche “Come ottenere una Messa tridentina“)

“Come andare a Messa e non perdere la fede” ha avuto un immediato successo sin dalla sua uscita ed è stato tradotto in cinque lingue. Il testo è arricchito da un contributo di Vittorio Messori sul “problema dell’omelia”.

 

L’Autore

Nicola Bux, sacerdote e docente della diocesi di Bari, romano per studi teologici ed orientalistici, gerosolimitano per quelli sulle liturgie cristiane, ha dedicato vari libri alla liturgia, all’ecclesiologia e all’ecumenismo tradotti in molte lingue.

Attualmente è consultore nelle Congregazioni vaticane dei Santi e del Culto Divino, dopo aver svolto lo stesso incarico nella Congregazione per la Dottrina della Fede e nell’Ufficio delle Celebrazioni Pontificie.

È stato chiamato da Giovanni Paolo II a preparare il Sinodo sull’Eucaristia del 2005 e da Benedetto XVI a parteciparvi come perito. Amico di lunga data di Joseph Ratzinger, che nel 1997 volle presentare il suo saggio Il quinto sigillo (Libreria Editrice Vaticana), ha collaborato alla riforma postconciliare della liturgia, musica e arte sacra nella sua diocesi e in regione.

Ha fondato la scuola Ecclesia Mater, con David Jaeger e Adriano Garuti, per oltre vent’anni collaboratore del cardinale Ratzinger quando era Prefetto della fede.

Tra le più recenti pubblicazioni: La riforma di Benedetto XVI (Piemme 2008); Gesù il Salvatore. Luoghi e tempi della sua venuta nella storia (Cantagalli 2009); Con i sacramenti non si scherza (Cantagalli 2016).

 

Il brano scelto

Intenti

La liturgia cristiana subisce ai nostri tempi una violenza sottile: i suoi riti e simboli sono desacralizzati o sostituiti da gesti profani. In ritardo sulle ideologie in frantumi, si ricorre a simboli fatti da mano d’uomo, idoli – la bandiera arcobaleno usata come stola o tovaglia d’altare – ci si sbarazza dell’efficacia potente e divina del sacramento, del suo valore di aspirazione dell’uomo al trascendente, anzi si trasferisce su quelli il significato, sorta di sacramento laico, totalitario e oppressivo. Ne vengono apatia, amarezza, superficialità. Come uscire da questa crisi della liturgia e della Chiesa?

In questo frangente della storia in cui l’immoralità e l’amoralità dilagano, non solo nell’etica ma anche nel culto, il Papa (Benedetto XVI, ndr) ci sta richiamando in tutti modi alla conversione, serve la liturgia, perché: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva». La vera liturgia presuppone che Dio risponda e mostri come noi possiamo adorarlo.

Pertanto la riforma di papa Benedetto XVI – mirante a superare «le deformazioni al limite del sopportabile» e l’idea che la liturgia possa essere fabbricata – deve rimettere il rito, il sacramento nel sacro, ristabilendo i diritti di Dio ad essere adorato come lui vuole, invertendo la pericolosa tendenza a creare riti contingenti che assecondano i bisogni dell’uomo o dell’assemblea. […]

Di fronte alla diffusa tendenza all’“autodeterminazione” della cultura laicista e alla “sottomissione” predicata dai musulmani, la fede cattolica con la sua liturgia perenne, ci indica il cammino della partecipazione nell’obbedienza. Se vogliamo dare un contributo dobbiamo domandarci se siamo disponibili. La liturgia chiede la risposta: la responsabilità è la conversione dell’io all’avvenimento presente in essa: Gesù il Signore, Dominus Iesus! – le espressioni latine nel libro, se il lettore si cimenterà nel leggerle, rivelano l’efficacia della nostra lingua “madre” che schiude l’universalità della Chiesa – perciò nessuno è meno cristiano di chi vuol cambiare la liturgia, invece di se stesso. La messa, sia nella forma ordinaria postconciliare – se celebrata secondo le norme – sia in quella straordinaria ripristinata dal Papa, dimostra di saper resistere alle deformazioni e di rimettersi in forma, ri-formarsi.

La riforma è martirio quotidiano, ad ogni generazione. In questo i cattolici bypassano i protestanti. I cristiani devono essere pronti al martirio per Gesù, e non c’è modo migliore di resistere che andare a messa, il sacrificio del martire per eccellenza. La messa è il rendimento di grazie anzi la restituzione del riscatto pagato per noi al maligno, onde Gesù è chiamato Redemptor: «Sulla croce egli operò una grande compera; là sborsò il nostro prezzo; quando il suo fianco fu aperto dalla lancia del soldato che lo colpì, ne sgorgò il prezzo di tutto il mondo. Furono comprati i fedeli e i martiri, ma la fede dei martiri venne messa alla prova: il sangue ne è testimone. Quello che per loro fu speso lo restituirono, e così adempirono ciò che Giovanni dice: “Come Cristo ha dato per noi la sua vita, così anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (cfr. Giovanni 3,16)».

La messa serve a salvare le anime: Egli le ha già salvate, mediante il suo sangue davvero prezioso; qui soprattutto risplende la gloria di Dio. E poi nella messa il Signore diventa contemporaneo a noi, a ogni messa sempre più vicino a noi. La messa è una festa? Una festa drammatica della fede protesa alla speranza: perciò è l’anticipo del paradiso.

[…] Oggi serve ancora più capire come andare a messa, perché quando si va – incredibile a dirsi – si rischia di perdere la fede! Eppure, la messa serve alla testimonianza della fede, a difenderla e diffonderla: nella messa avviene l’adorazione del Signore Cristo nei nostri cuori che consente di dare ragione agli uomini e donne del nostro tempo della speranza che è in noi, con dolcezza, rispetto e retta coscienza (cfr. 1 Pietro 3, 17); senza vanto ma con la benignità e la pazienza dell’amore (cfr. 1 Corinzi 13)».