Brigantaggio legittima difesa del SudGli articoli della “Civiltà Cattolica” (1861 – 1870)

a cura di Giovanni Turco

prima edizione 2000

pagine 208 – € 15,50 sconto Soci 30%

edizione esaurita / prossima ristampa

 

 

Una delle pagine più controverse della storia dell’unità italiana è certamente quella sul cosiddetto “brigantaggio”: chi furono i briganti? Delinquenti o resistenti, malfattori o patrioti?

Il volume offre un notevole contributo alla ricerca della verità, raccogliendo per la prima volta insieme i nove articoli che la prestigiosa rivista dei Gesuiti, La Civiltà Cattolica, dedicò, tra il 1861 e il 1870, al fenomeno del brigantaggio e alla terribile repressione che lo Stato unitario mise in atto per annientarlo.

Impreziositi dall’indicazione degli autori (in originale erano anonimi), gli scritti dei padri Carlo Curci, Carlo Piccirillo, Matteo Liberatore e Raffaele Ballerini offrono al lettore un’interpretazione ben diversa da quella tramandataci dalla storiografia risorgimentale: i briganti furono combattenti legittimisti che si opposero alla perdita della Patria e della identità. La Rivista cattolica con grande lucidità diede conto della situazione all’indomani dell’unificazione d’Italia, confutando le tesi della stampa liberale e della Relazione Massari, e documentò la feroce repressione del Governo unitario che annientò i briganti.

Il contesto storico

Il cosiddetto “brigantaggio” ebbe inizio letteralmente all’indomani della partenza per l’esilio del Re Francesco II di Borbone, avvenuta il 13 febbraio 1861; il 15 del mese si sollevarono i primi paesi lucani. La guerra durò più di dieci anni e vide schierate quasi 500 bande, che riunivano da poche unità fino a 900 uomini; contro di essi lo Stato unitario attuò una violentissima repressione, schierando ben 211.500 soldati. Nei primi dieci mesi di combattimenti, furono fucilati 9860 briganti o presunti tali; 6 interi paesi furono dati alle fiamme (i più conosciuti sono Casalduni e Pontelandolfo); 13.629 persone furono imprigionate, la maggior parte senza processo.

Nel 1863, la Commissione Parlamentare d’inchiesta presieduta dal deputato Giuseppe Massari indicò come cause del brigantaggio: la miseria delle popolazioni, la particolare asprezza orografica del territorio e una sorta di tradizione locale.

Le tesi insulse e addomesticate della Relazione Massari ebbero come risultato la promulgazione della Legge Pica, che impose lo stato d’assedio e la corte marziale a tutte le regioni del Sud e diede veste ufficiale alla repressione militare del brigantaggio, già di fatto praticata sin dall’inizio. In soli due mesi furono eseguiti 6.564 arresti e 1.035 condanne capitali.

Il bilancio della repressione del brigantaggio non è mai stato fatto e molti documenti ufficiali sono ancora sottoposti al segreto di Stato. Si calcola, comunque, che si ebbero non meno di 250mila morti, tra briganti combattenti, fucilati e prigionieri, e circa 500mila condannati.

Il curatore dell’opera

Giovanni Turco è ricercatore presso la cattedra di Filosofia politica dell’Università di Udine.

Specializzato in pensiero medioevale e tomistico presso la Pontificia Università S. Tommaso d’Aquino, in Roma, ha compiuto studi presso Università spagnole e francesi ed ha conseguito il baccalaureato in Teologia. Conduce la propria attività didattica e di ricerca presso diversi Atenei e Istituti Filosofici e partecipa a Convegni specialistici.

È autore di monografie di filosofia teoretica e di studi filosofico-giuridici e di storia, in particolare sul pensiero di Francisco Elias de Tejada; collabora con diverse riviste specializzate italiane e straniere.

Ha curato la ricerca degli articoli della Civiltà Cattolica, giungendo ad attribuirli ai rispettivi autori, ed ha scritto il saggio introduttivo al volume. 
È autore insieme ad altri dei volumi editi dall’Editoriale Il Giglio, Napoli e le Spagne (1999) e La difesa del Regno. Gaeta, Messina, Civitella del Tronto (2001).

Il brano scelto

Introduzione

«La chiave di lettura offerta dalla “Civiltà Cattolica” in ordine al brigantaggio fu franca e coraggiosa. Non si trattava di un fenomeno di mero banditismo, né di un atavico retaggio di miseria e di sopraffazione. Nel brigantaggio andava riconosciuto, piuttosto, un capitolo della resistenza contro il nuovo ordine liberale, laicista e centralizzatore, che veniva ad espropriare le popolazioni (particolarmente meridionali) di un’identità storico-politico-religiosa profondamente radicata ed avvertita.

In tal senso si trattava di una reazione del popolo vero nei confronti del piccolo “popolo ideologico”. Il primo intende difendere se stesso (e i valori tradizionali che le forme di vita fino ad allora praticate incarnavano) dal tentativo egemonico del secondo (che per la sua stessa pretesa di rappresentare il futuro pretende un dominio incontrastato sul presente). La Rivista si esprime in termini inequivocabili: “i rivolgimenti italiani erano stati opera tutto e solo di partiti politici, senza che il vero popolo vi pigliasse altra parte, che vederli, parlarne molto, pagarne moltissimo […] i veri popoli italiani, i veri milioni non ne sanno, non ne vogliono sapere nulla; e oggi aborrono cordialmente appunto da quelle volontà e da quelle aspirazioni, che tanto sicuramente sono loro attribuite”.

La consapevolezza dell’estraneità del “Paese reale” di fronte alla “minoranza illuminata” liberale (con la sua pretesa totalizzante e le istituzioni da essa egemonizzate), rende chiaramente comprensibili i motivi dell’opposizione popolare a quella che si presenta come una effettiva oppressione. Le insurrezioni che scoppiavano in tutti i territori annessi al Piemonte lo dimostravano palesemente: la volontà delle popolazioni era tutt’altra che quella di sbarazzarsi delle antiche tradizioni politiche e religiose. La resistenza antiunitaria ne testimoniava l’avversione al nuovo Stato e la fedeltà alle tradizioni avite, alla Chiesa ed alle precedenti istituzioni. Sicché la tesi della volontà popolare espressa nei plebisciti, che avevano sancito le annessioni, aveva nelle diffuse reazioni antiunitarie (e nella contestuale durissima repressione) la più evidente smentita fattuale.»

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