(Lettera Napoletana) L’ex presidente degli Stati Uniti Barak Obama e la senatrice Hillary Clinton, nei commenti su Twitter alla strage di Pasqua compiuta da estremisti islamici in Sri Lanka, hanno evitato di usare il termine cristiani per riferirsi alle vittime straziate dalle bombe fatte esplodere nelle chiese, utilizzando il termine “Easter worshippers”, letteralmente “adoratori della Pasqua” oppure “fedeli della Pasqua”. Il presidente della Francia Emmanuel Macron, commentando l’incendio che ha gravemente danneggiato la Cattedrale di Notre-Dame, a Parigi, il 15 Aprile, ha parlato della Cattedrale come di un patrimonio della “cultura francese”, senza mai riferirsi al Cattolicesimo, come, in una dichiarazione pubblica, ha lamentato l’Arcivescovo di Parigi, Mons. Michel Aupetit.
Si tratta di due casi di applicazione del “politically correct” (“politicamente corretto”) da parte di personalità politiche con l’obiettivo di modificare il linguaggio comune, cancellando un termine e sostituendolo con una espressione che risponde ai propri schemi ideologici.
Sono molti i casi di imposizione di termini di matrice ideologica (es. il termine genere al posto del termine sesso) e di termini messi al bando, fino alla persecuzione di chi continua ad usarli, in nome della stessa “correttezza politica”.
Nel Giugno 2018, il responsabile per la comunicazione di Netflix, impresa statunitense di produzione e distribuzione di film e programmi tv, Jonathan Friedland, è stato licenziato per aver utilizzato nel corso di riunioni di lavoro il termine nigger (negro) considerato “discriminatorio” dagli ideologi del “politicamente corretto”. In nome della stessa ideologia si è arrivati al punto di pubblicare un’edizione politicamente corretta del romanzo di Mark Twain “Huckleberry Finn”, nel quale il termine nigger viene sostituito da quelli considerati “corretti” black oppure slave.
Ma il termine nigger – osserva Eugenio Capozzi, docente di Storia Contemporanea all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli nel suo saggio (“Politicamente corretto. Storia di un’ideologia”, Marsilio, Venezia 2018, pp. 2017, € 17) «come i suoi corrispondenti nègre in francese e “negro”, in italiano, non aveva all’epoca alcun significato dispregiativo nei confronti delle persone dalle pelle nera (…). Anzi nel periodo della decolonizzazione, quel termine venne rivendicato con orgoglio sia dai movimenti per i diritti civili degli afroamericani che da quelli di liberazione africani (si pensi al concetto di “negritudine” elaborato dal poeta e leader politico senegalese Léopold Sédar Senghor …)».
L’imposizione di un nuovo linguaggio, il divieto di utilizzare termini, che rispondono, invece, al senso comune ed alla tradizione culturale, è il modo per modificare la realtà, “abolendone” le parti in contrasto con l’ideologia del politically correct.
L’espressione politicamente corretto – nota Capozzi – ha cominciato a diffondersi negli Usa e nel mondo anglosassone nella seconda metà degli anni ‘80. In origine con un significato di insofferenza critica verso l’ortodossia ferrea nel linguaggio ed i comportamenti sociali da parte delle classi colte.
«Quelle formule rappresentavano – scrive l’autore del saggio – una citazione sarcastica del linguaggio usato dagli attivisti e dai documenti ufficiali comunisti dopo la rivoluzione bolscevica, e poi soprattutto negli anni Trenta, all’epoca della strategia staliniana dei Fronti popolari, per descrivere i comportamenti giusti o sbagliati di militanti del partito comunista e di compagni “di strada” (intellettuali fiancheggiatori) rispetto alla linea dettata dai vertici dell’organizzazione».
Alla ideologia del “politicamente corretto” è dedicato il seminario di formazione della Fondazione Il Giglio, “Il pensiero unico dominante: Come reagire”, che proseguirà fino ai primi di Giugno.
Al seminario è possibile iscriversi on-line per coloro che non possono prendervi parte fisicamente. Gli interventi saranno pubblicati dall’Editoriale Il Giglio. (LN134/19)