(Lettera Napoletana) (di Guido Vignelli) I preziosi articoli sulle radici della Modernità, scritti negli anni 1970 dal grande politologo e giurista spagnolo Francisco Elías de Tejada per la prestigiosa rivista madrilena “Verbo”, sono stati finalmente tradotti in italiano a cura di Gianandrea de Antonellis (Francisco Elías de Tejada, Le radici della Modernità, Solfanelli Editore, Chieti 2021, pp. 180, € 12).
Per analizzare le radici malate della Modernità, intesa come valore, il libro parte dalla crisi delle istituzioni medioevali nei secoli XIV e XV (cap. I), per poi denunciare le tre fasi rivoluzionarie che hanno fratturato e sovvertito la Cristianità: ossia il protestantesimo di Lutero (cap. II), il giacobinismo di Robespierre e soci (cap. III) e il comunismo di Marx (cap. IV). Ognuna di queste fasi è stata preparata da quella precedente e si è sviluppata in quella successiva.
Tejada esamina anche descrizione le “costanti del pensiero politico” moderno, particolarmente quella detta rivoluzione, che può essere intesa come categoria, come epoca e come processo storico che avvelena le radici cristiane dei popoli per sostituirle con quelle sovversive.
Va notata l’importanza che l’Autore attribuisce al ruolo svolto dall’impero romano-franco-germanico non solo nella tutela della Chiesa antica ma anche nella formazione della Cristianità detta medioevale e nella difesa di questa dalle minacce esterne e interne; per questo la Rivoluzione si è tanto accanita prima nel corromperlo e poi nell’abbatterlo.
Nel suo saggio introduttivo agli articoli, il prof. Giovanni Turco dapprima introduce il lettore alla figura del Tejada, celebrato accademico in Spagna ma poco noto in Italia (se non per i volumi dedicati al “Nápoles hispánico“), poi ne inquadra l’analisi storico-politica, confrontando la cultura autenticamente cristiana con quella – soggettivistica, relativistica e secolarista – avviata dalle tre rivoluzioni sopra citate.
Questa edizione contribuisce a rievocare, e quindi a riallacciare, l’antico legame che l’Italia cattolica ebbe, per secoli, con la Spagna quale campionessa prima della Cristianità anti-maomettana e poi anche di quella anti-luterana. Quando la nostra classe intellettuale sostituì questo legame con quello con i circoli modernizzanti francesi e tedeschi, cominciò il declino culturale e politico dell’Italia.
L’unico appunto, che forse si può fare al grande studioso madrileno, consiste nel fatto di ridurre la civiltà cristiana, sopravvissuta alla frattura protestante, alla Christianitas minor rappresentata dal mondo ispanico e portoghese; in questo modo, egli trascura la Cristianità controriformista dell’impero germanico e anche quelle francese e italiana, le quali – sia pure tra alti e bassi – contribuirono notevolmente alla contro-rivoluzione europea tra la fine del XVIII e l’inizio del XX secolo. (LN162/21)