Plinio Corrêa de Oliveira
Trasbordo ideologico inavvertito e dialogo
traduzione e postfazione “Il mito del dialogo relativista. Una strategia di conquista che continua” di Guido Vignelli
prima edizione 2012
pagine 128 + 8 pagine di foto a colori
€ 15,00 – sconto Soci 30%
Nel 1965 Trasbordo ideologico inavvertito e dialogo fu pubblicato sul mensile cattolico brasiliano “Catolicismo” e l’anno dopo fu rieditato in volume.
Nel tempo, si sono succedute 5 edizioni in lingua portoghese, 6 in spagnolo, 1 in tedesco e 1 in italiano, raggiungendo un totale di 136.500 copie diffuse. Il saggio, inoltre, è stato pubblicato su numerose riviste brasiliane, argentine, cilene, colombiane, statunitensi, portoghesi e spagnole.
In Italia, una prima traduzione, curata da Giovanni Cantoni e da Silvio Vitale, fu pubblicata nel 1970 a Napoli, dall’Edizione de «L’Alfiere». A 47 anni dalla sua uscita, l’Editoriale Il Giglio ne ha curato una nuova edizione, affidando la traduzione dall’originale portoghese a Guido Vignelli.
Benché il testo sia contestualizzato ad un preciso momento storico-politico, la tecnica del dialogo che vi è svelata e descritta nelle sue diverse fasi non ha perso di attualità poiché ha continuato ad essere utilizzata costantemente fino ai nostri giorni, producendo effetti di notevole rilievo sul piano culturale ed identitario. Effetti che il lettore potrà facilmente cogliere, anche grazie alla postfazione al testo, “Il mito del dialogo relativista. Una strategia di conquista che continua”, scritta da Guido Vignelli.
S.A.I.R Dom Bertrand de Orléans e Bragança, Principe Imperiale del Brasile, pronipote di Teresa Cristina di Borbone-Due Sicilie, ha firmato la presentazione al volume.
Il contesto storico
Gli anni Sessanta si aprirono all’insegna di un generalizzato ottimismo, nella convinzione che, memore della lezione ricevuta dalla guerra da poco finita, il mondo si avviasse ad un’era di pace e benessere fondata su un “umanesimo laico” condivisibile da tutti, indipendentemente dalle diverse posizioni ideologiche, politiche, religiose o razziali.
Questo clima venne rappresentato in particolare da tre personaggi, attorno ai quali i mass media costruirono un alone quasi mitico che ancora resiste: il presidente USA J. F. Kennedy, che aprì il suo mandato prefigurando una “nuova frontiera ricca di sconosciute occasioni”; il leader sovietico Nikita Krusciov, che aprì la fase della “destalinizzazione”; il pontefice Giovanni XXIII, che aprì la Chiesa “al mondo”, con l’“aggiornamento” e la forte impronta ecumenica impresse dal Concilio Vaticano II.
L’impatto mediatico di queste tre icone produsse l’aspettativa di un “nuovo ordine mondiale” ormai a portata di mano, nel quale qualsiasi contrapposizione potesse essere ridotta a semplice “confronto” da appianare attraverso il “dialogo”, ed in questa prospettiva venne enfatizzato il ruolo di organizzazioni internazionali come l’ONU o la CEE, embrione della futura Unione Europea.
Si diffuse, così, l’idea che il dialogo dovesse essere lo strumento per dirimere qualunque divergenza, politica, confessionale, civile, etica. All’opinione pubblica, però, non fu spiegato che, al di sotto dell’idilliaca superficie, quella del dialogo era una tecnica precisa, che sottintendeva la negoziabilità di qualunque principio, che imponeva la rinuncia all’esistenza di qualsiasi verità, che stabiliva le premesse perché, col tempo e con una serie progressiva di mediazioni, i principi stessi finissero per essere svuotati di senso. Una tecnica che obbligava ad una continua trattativa, ad un continuo e incalzante compromesso, pur di tenere aperto il tavolo di mediazione con la parte avversa.
Sostenuto dai mezzi di informazione, in breve tempo il dialogo divenne in tutti i settori “il” valore da ricercare ad ogni costo: prescindendo dal suo contenuto e dalle conseguenze, qualunque mediazione era considerata un obiettivo positivo purché fosse frutto del dialogo tra le parti. Si affermò quindi, il primato del dialogo sulla verità: un errore sempre inaccettabile, sia che i dialoganti siano in buona fede, sia nel caso contrario, quando la parte in buona fede è di fatto alla mercé della parte in malafede.
Ciò nonostante, negli anni Sessanta influenti élites intellettuali, mediatiche, politiche ed ecclesiastiche, soprattutto in campo cattolico, lo adottarono come approccio privilegiato alla costruzione e al mantenimento degli equilibri interni ed internazionali tra i due grandi blocchi che si fronteggiavano all’epoca. Questa adesione, in realtà, affondava le radici in una sorta di “complesso di inferiorità culturale” che già allora si era diffuso in molti ambienti di ispirazione cattolica rispetto a quelli di formazione marxista, laicista, protestantica. Molti intellettuali erano convinti, infatti, che la direzione impressa alla storia dal progresso fosse irreversibile, che il comunismo fosse una necessaria tappa del processo in cui, tutt’al più, alcuni eccessi dovevano essere smussati, che il cattolicesimo dovesse rinunciare a forme esteriori e posizioni dottrinali “integriste”, considerate inadatte alle moderne concezioni di libertà di opinione, di critica e di scelta.
Non tutti però erano allineati sul fronte pro-dialogo, altri pensatori ne criticarono duramente l’errore intrinseco e la tattica suicida. Tra essi, lo spagnolo Rafael Gambra, l’italiano Augusto Del Noce e il brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira, autore del saggio che svelò con lucida chiarezza la tecnica del dialogo, la filosofia dalla quale nasceva e gli obiettivi che perseguiva.
In particolare, a Corrêa de Oliveira va il merito di averne denunciato la dinamica progressiva, che sposta sempre più avanti il traguardo del dialogo, definendo sistematicamente ogni mediazione raggiunta come “promettente” ma “insufficiente”. In questo modo, il dialogante estremista spinge il moderato a concessioni sempre maggiori, accompagnandolo verso un inavvertito trasbordo ideologico che lo porterà ad abbandonare le posizioni tradizionali per assumere quelle rivoluzionarie. Il dialogo, infatti, è la strategia utilizzata per «creare una verità fittizia che giustifichi un accordo sociale … capace di assicurare certi risultati pratici: l’unione e la pace mondiale, il benessere, i diritti umani, l’ecumenismo, la salvaguardia della natura. Insomma, si mira a realizzare non più l’unità nella verità, ma al contrario la verità nell’unità: diventa vero ciò che mette d’accordo tutti – o almeno la maggioranza, o almeno i più influenti – mediante un compromesso che realizzi una “nuova sintesi condivisa”».
Questa tecnica, adoperata su larga scala dai progressisti di ogni matrice negli anni ’60 e ’70, non è stata abbandonata, ma al contrario è stata diffusa a tutti i livelli, rivestita da un’aura di “buonismo”, di “equilibrio”, di “rispetto delle differenze”.
La sua più recente versione è quel politically correct che permea ogni settore e che viene brandito ad ogni pie’ sospinto per mettere a tacere chi osi affermare un qualsiasi principio.
Quel politically correct che, tanto per fare un esempio, in nome della libertà religiosa garantita a tutti impedisce ai cattolici di mostrare i propri simboli perché non graditi ai fedeli di altri credo ed espelle Gesù Bambino dalle recite scolastiche di Natale.
L’autore
Plinio Corrêa de Oliveira (1908 – 1995) è stato un eminente pensatore cattolico e dirigente politico brasiliano. Leader dell’associazionismo giovanile cattolico, fu il deputato più giovane e più votato eletto all’Assemblea Costituente brasiliana. Docente di Storia Moderna e Contemporanea alla facoltà di Filosofia, Scienze e Lettere della Pontificia Università Cattolica di San Paolo, ha diretto la rivista “Legionario” ed ha fondato il mensile “Catolicismo” (1951). Nel 1960 ha dato vita alla Società Brasiliana per la Difesa della Tradizione, Famiglia e Proprietà (TFP), alla quale si è dedicato interamente fino alla morte. È autore di innumerevoli saggi ed articoli, tradotti in molte lingue. La sua opera più conosciuta è Rivoluzione e Contro-Rivoluzione.
Il curatore
Guido Vignelli (Roma, 1954), studioso di etica, politica e scienza delle comunicazioni, è stato tra i fondatori del Centro Culturale Lepanto. Dal 2001 al 2006 è stato componente della Commissione di Studio sulla Famiglia istituita dalla Vicepresidenza del Consiglio dei Ministri. Ha tenuto corsi di aggiornamento per docenti al Faes e l’Oeffe di Milano, all’I.P.E. e all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, presso la Scuola di Formazione Sociale dell’Arcidiocesi di Palermo. È autore di numerosi articoli e dei volumi Matrigna televisione, Il video tentatore, L’invasione silenziosa (2002), San Francesco antimoderno (2009). Per l’Editoriale Il Giglio è coautore del saggio Perchè non festeggiamo l’unità d’Italia (2011) ed ha tradotto e curato Considerazioni sulla Francia di Joseph de Maistre (2010).
Il brano scelto
“A volte una circostanza poco importante può chiarire e spiegare tutti gli aspetti di una intricata situazione. Ciò che si vede così spesso nei romanzi, succede anche nella realtà della vita. Il presente studio nacque da una circostanza di questo tipo.
1. Distorsione di vocaboli al servizio della propaganda comunista
Da molto tempo suonavano falsi al nostro orecchio i molteplici usi della parola “dialogo” che vengono fatti in certi ambienti. Nelle conversazioni quotidiane di questi ambienti e in alcuni commenti della stampa, intorno all’asse fisso di un legittimo significato residuo, notavamo che quella parola veniva manipolata in modo così forzato e artificioso, con audacie così sconcertanti e significati soggiacenti così svariati, che sentivamo la necessità, vigorosa come un imperativo della coscienza, di protestare contro questa trasgressione delle regole del corretto linguaggio.
A poco a poco, impressioni, osservazioni, appunti raccolti qua e là, andavano suscitando nella nostra mente la sensazione che questa multiforme distorsione della parola”dialogo” aveva una logica interna che lasciava intravedere qualcosa d’intenzionale, di pianificato e di metodico, che oltretutto comprendeva non solo questa parola, ma anche altre usuali nelle elucubrazioni di progressisti, socialisti e comunisti, come ad esempio “pacifismo”, “coesistenza”, “ecumenismo”, “democrazia cristiana”, “terza forza”, etc. Una volta sottoposti ad analoga distorsione, questi vocaboli finivano col costituire una sorta di costellazione nella quale gli uni sostenevano e completavano gli altri. Ogni parola costituiva una specie di talismano per esercitare sulle persone un effetto psicologico specifico, e l’insieme degli effetti di questa costellazione di talismani ci appariva fatto apposta per operare nelle anime una trasformazione graduale ma profonda.
A mano a mano che si chiarificava nell’esame, questa distorsione si realizzava sempre nello stesso senso: quello d’indebolire nei non-comunisti la resistenza al comunismo, inspirando in loro uno stato d’animo propenso alla condiscendenza, alla simpatia, alla remissività e perfino alla resa. Nei casi estremi, la distorsione giungeva fino al punto di trasformare non-comunisti in comunisti.
Nella misura in cui l’osservazione ci andava facendo intravedere una linea di coerenza nitida e una logica interna invariabile in quell’uso vario e perfino sconcertante di parole efficaci e sottili come un talismano, nel nostro spirito si andava rafforzando il sospetto che, se qualcuno giungesse a scoprire e a spiegare in cosa consiste questa linea di coerenza o questa logica, avrebbe svelato un espediente nuovo e di grande portata, usato dal comunismo nella sua incessante guerra psicologica contro i popoli non-comunisti. […]
Sia ben chiaro fin da ora – e torneremo su questo punto più avanti – che non è nel dialogo in sé o nell’ecumenismo in sé e meno ancora nella pace in sé, che indichiamo qualcosa di censurabile: ciò sarebbe da parte nostra un’aberrazione. Il nostro studio non considera quei vocaboli presi nel loro significato normale e corretto, né le realtà cui essi si riferiscono, ma solo quegli stessi vocaboli presi in quella particolarissima accezione che li trasforma in talismani della strategia comunista.
3. L’azione ideologica implicita, caratteristica fondamentale del procedimento
Appare importante mettere in evidenza fin d’ora che il procedimento di cui ci occuperemo mira a predisporre favorevolmente alla dottrina e alla tattica comuniste, e poi a trasformare alla fine in “utili idioti”, se non proprio in comunisti convinti, quelle persone che di per sé sono refrattarie alla predicazione marxista esplicita. Proprio per questa ragione, il procedimento in questione agisce nelle mentalità in modo implicito.
È nota essenziale e caratteristica di questo procedimento che, durante tutto o quasi tutto il suo svolgimento, i pazienti non si accorgono che stanno subendo un’azione psicologica da parte di qualcuno, né che il comunismo sia la direzione verso la quale si orientano le loro impressioni e le loro simpatie. Con maggiore o minore chiarezza a seconda di ciascun individuo, essi hanno coscienza del fatto che stanno “evolvendo” ideologicamente, ma credono che questa “evoluzione” sia soltanto la scoperta o l’approfondimento, fatto gradualmente da loro stessi e senz’alcun concorso di altri, di una “verità” o di una costellazione di “verità” che giudicano simpatiche e generose.
Di norma, durante quasi tutto il procedimento, non passa neppure per la mente di queste vittime che a poco a poco essi stanno diventando comuniste. Se in un determinato momento questo rischio apparisse a loro manifesto, ipso facto essi si renderebbero conto dell’abisso nel quale stanno scivolando e farebbero marcia indietro.
È solo nella fase finale di questa “evoluzione”, che l’evidenza della trasformazione interiore rivela a loro che stanno giungendo al comunismo. Tuttavia, a questo punto, la loro mentalità è talmente “evoluta”, che ormai l’ipotesi di diventare seguaci del comunismo non è più per loro causa di orrore ma anzi di attrattiva.”