(Lettera Napoletana) C’è sgomento tra sacerdoti e fedeli della Chiesa di Napoli dopo le gravi notizie, filtrate sulla stampa nonostante i tentativi di silenziare l’accaduto, sulla presenza di elementi legati alla Ndranghetacalabrese tra il personale della Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, che ha sede a Capodimonte.

Qui, come riportato da Agenzia Adista (12.7.2024), ripresa e approfondita dai blog Messa in Latino (16.72024) e Corrispondenza Romana (16.7.2024) a gennaio scorso è stato assunto come responsabile della risorse umane, dell’organizzazione e della raccolta fondi, Daniel Barillà, genero del boss della ‘Ndrangheta di Reggio Calabria Domenico Araniti.

Barillà, esponente del Pd, è stato arrestato l’11 giugno scorso con l’accusa di corruzione e associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzata al voto di scambio, a vantaggio del consigliere regionale Giuseppe Neri, ex Pd, passato a Fratelli d’Italia, ed è attualmente sottoposto all’obbligo di firma nell’ambito di un’inchiesta della DDA di Reggio Calabria denominata “Ducale”, dal soprannome di Araniti, detto “il Duca.

Ad assumere alla Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale il genero del boss reggino è stato Mons. Antonio (Antonello) Foderaro, ex direttore dell’Istituto di Scienze religiose di Reggio Calabria, chiamato a Napoli, insieme ad altri collaboratori e collaboratrici calabresi, e nominato nel 2023 Decano della Facoltà Teologica dall’Arcivescovo Domenico Battaglia. Mons. Foderaro,è indagato per “scambio elettorale politico-mafioso” nell’inchiesta della DDA reggina.

Ma non ci sarebbe il solo Barillà tra gli assunti alla Facoltà Teologica di Capodimonte – dove diversi dipendenti sono stati licenziati per fare posto ai nuovi arrivati – segnalati dalla cosca Araniti. Lo hanno riferito all’AGI (10.8.2024) fonti della Chiesa napoletana e le ultime assunzioni sono nel mirino degli inquirenti.

Di fronte a questi fatti gravissimi Mons. Battaglia, nominato Arcivescovo di Napoli a dicembre 2020, non ha ritenuto di adottare nessun provvedimento, non ha voluto rispondere alle domande della stampa ed ha imposto il silenzio a tutti i collaboratori, senza evidentemente riuscire a fermare il disagio che monta tra sacerdoti e fedeli (leggi).

L’infiltrazione della ‘Ndrangheta alla Facoltà Teologica di Capodimonte è una beffa per Mons. Battaglia, che è strettamente legato a Don Luigi Ciotti, paladino dell’antimafia professionale, e, unita al suo imbarazzato silenzio sulla vicenda, smonta l’immagine mediatica di “prete di strada”, “prete degli ultimi”, di “Don Mimmo”, come Mons. Battaglia ama farsi chiamare.

Dietro l’immagine costruita dai mass-media, c’è infatti la personalità reale emersa in questi anni a Napoli di un personaggio autoritario, indisponibile all’ascolto delle ragioni di sacerdoti – che riceve con il contagocce – come dei gruppi del laicato cattolico, salvo che non appartengano all’associazionismo “antimafia”, femminista o legato al mondo di detenuti e tossicodipendenti.

L’autoritarismo di Mons. Battaglia lo hanno sperimentato i fedeli della Messa in latino a Napoli, organizzati in Coetus Fidelium dal 2007, quando Papa Benedetto XVI approvò il Motu Proprio Summorum Pontificum.

A maggio scorso, smentendo le autorizzazioni da lui stesso concesse, senza nessuna spiegazione, l’Arcivescovo Battaglia ha reso noto il testo di un decreto con il quale ha soppresso tutte le Messe celebrate in rito romano antico, ha cancellato di fatto i Coetus Fidelium (Gruppi di fedeli), che contano centinaia di aderenti, ed ha concesso il monopolio esclusivo delle celebrazioni del rito antico all’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote (ICRSS), fondato in Gabon da sacerdoti francesi (leggi).

A consigliare Mons. Battaglia nelle sue scelte verticistiche ed impopolari è un ristretto numero di sacerdoti, suore e laici calabresi di sua fiducia. Tra essi il Superiore dei Padri Teatini Don Carmine Mazza, indicato come il suo segretario particolare e legato all’ICRSS.

Più che decisioni, quelle dell’Arcivescovo di Napoli sono imposizioni. Di un’autorità che si fa rispettare non per la dottrina né per la santità, ma solo perché gestisce il potere.

Quia nominor Leo…” si intitola la petizione dei fedeli della Messa in latino privati del loro rito e allontanati dalle chiese che frequentavano da decenni. Senza autorità, resta solo l’autoritarismo. (LN177/24)