(Lettera Napoletana) In Brasile, dopo la contestata vittoria elettorale con il 50,9% contro il 49,1% di Jair Bolsonaro, Lula accelera la svolta autoritaria con l’appoggio dei magistrati del Supremo Tribunale Federale, ma delude con la sua politica statalista gli ambienti globalisti e le grandi imprese che lo hanno sostenuto.
Il politologo Átila Amaral Brilhante, dell’Unversidade Federal do Ceara, e dottore di ricerca del London University College, analizza i nuovi scenari.
(Átila Amaral Brilhante) Il Governo Lula si sottrae con ogni mezzo alla nomina di una Commissione parlamentare d’inchiesta (CPI) sui danneggiamenti avvenuti l’8 gennaio in piazza delle Tre Culture, a Brasilia, che la sinistra ed i mass-media attribuiscono alla violenza antidemocratica dei sostenitori dell’ex presidente Jair Bolsonaro. Ma una Commissione d’inchiesta, composta da rappresentanti di tutti i partiti, consentirebbe di fare chiarezza su molte cose.
Certo, il Governo rischierebbe di trovarsi in minoranza nella Commissione e rischierebbe di dover spiegare, ad esempio, perché, alla vigilia dell’8 Gennaio, i soldati responsabili della sicurezza ai palazzi delle Istituzioni furono allontanati, consentendo così che gli edifici venissero invasi senza grandi difficoltà.
E se si fosse trattato di una trappola tesa dalla sinistra ai bolsonaristi? È una pista sulla qualle si dovrebbe indagare, così come qualcuno dovrebbe spiegare la presenza di teppisti non collegati ai sostenitori di Bolsonaro durante i vandalismi. Furono manovrati dal Governo o agirono di propria iniziativa?
Il Governo Lula non vuole andare a fondo sui fatti dell’8 gennaio, ma vuole utilizzare l’accaduto per ottenere l’approvazione del cosiddetto “Pacchetto per la democrazia”, che in realtà è un’ulteriore restrizione delle libertà dei brasiliani. Si tratta di nuovi e draconiani poteri attribuiti al Governo per aggredire i beni di chi lo contesta apertamente, di limitazioni all’accesso a Internet e della creazione di una Guardia Nazionale che – per come è stata presentata – sembra essere una “milizia privata” che Lula potrà utilizzare a suo piacimento.
Tutte queste misure sono in linea con le decisioni prese dal presidente del Tribunale Superiore Elettorale (TSE)e componente del Supremo Tribunale Federale Alexandre de Moraes.
La scelta del generale Tomás Paiva come nuovo comandante dell’Esercito non contribuisce a migliorare il clima di diffidenza tra Lula e le Forze Armate. Il generale è molto legato all’ex presidente Fernando Henrique Cardoso, figura di spicco dei circoli globalisti brasiliani, e nell’Esercito è ritenuto da molti più a suo agio tra i burocrati statali che nelle missioni militari, che comportano lunghi soggiorni nelle regioni più inospitali e rischiose del Paese.
Intanto alcune dichiarazioni di Lula hanno già deluso i suoi alleati esterni al PT (Partido dos Trabalhadores), sopratutto quelli più vicini agli ambienti globalisti. Lula ha messo in ridicolo i mercati finanziari, ha proposto di unificare il real brasiliano con il peso argentino, la moneta di un Paese che ha un’inflazione circa 20 volte maggiore di quella brasiliana, ha chiesto che il BNDES (Banco Nacional de Desenvolvimento Econômico)riprenda a finanziare quei Paesi latino-americani che hanno già accumulato nei suoi confronti debiti non saldati per circa 500 milioni di dollari, ed ha modificato le leggi sui dipendenti statali che vietavano l’assunzione nei ranghi dello Stato dei coordinatori di campagne elettorali dei candidati per evitare favoritismi.
Con le modifiche imposte, Lula ha potuto nominare presidente del BNDES Aloisio Mercadante (vicepresidente del PT e presidente della Fondazione Perseu Abramo, think-thank del partito, n.d.t).
Il PT ha lasciato in eredità, nel 2016, le imprese statali con un debito di 39 miliardi di reais. Bolsonaro le ha lasciate con un attivo di oltre 230 miliardi.
Il nuovo Governo di Lula ha deciso l’uscita del Brasile dall’Alleanza internazionale contro l’aborto ed ha annullato la distinzione nel codice penale tra i reati di razzismo e di ingiuria a sfondo razziale. Questo rende i due reati non soggetti a prescrizione e non consente la libertà su cauzione a chi ne è accusato.
Adesso, lo scontro tra il Governo Lula e l’opposizione si concentra sul presidente del Senato, che l’opposizione vuole cambiare. L’attuale presidente, Rodrigo Pacheco, che è il candidato di Lula, ha chiuso gli occhi sulle vere e proprie atrocità nei confronti della Costituzione compiute dal giudice del Supremo Tribunale Federale Alexandre de Moraes. Una rielezione di Pacheco rafforzerebbe la persecuzione contro la Destra conservatrice ed impedirebbe la difesa della democrazia in Brasile. Quest’ultima si trova nella condizione di una persona che sta affogando ma agita ancora una mano fuori dall’acqua che la sta sommergendo. Il Senato, che può censurare i ministgri del STF, è l’unica istituzione che può impedire che la nostra democrazia affondi definitivamente.
Lula è oggetto di numerose critiche, ma bisogna riconoscergli un merito: la sua capacità di dissimulare è molto diminuita. Gran parte delle scelte assurde che sta facendo sono state anticipate in campagna elettorale. L’esclusiva élite di economisti, giornalisti ed imprenditori innamorati del capitalismo clientelare ora lo criticano perchè non si preoccupa di controllare la spesa pubblica, ma sapevano bene che il PT detesta ogni limitazione al bilancio dello Stato e non si cura di far quadrare i conti. Hanno sabotato il Governo Bolsonaro per un odio implacabile contro di lui, ma adesso non possono fingere di non essere i responsabili di questa situazione. (LN169/23)