(Lettera Napoletana) Alle elezioni Comunali di Napoli ( 3-4 Ottobre 2021) c’era un solo modo per contestare una politica fatta di partiti quasi uguali tra loro e di candidati indistinguibili per le loro idee, accomunati nell’arrembaggio ad uno stipendio o almeno ad un gettone di presenza di consigliere di Municipalità: quello di non votare. E i napoletani lo hanno fatto.

 

CHI RAPPRESENTANO QUESTI POLITICI ?

Su 776mila 177 elettori hanno votato in 366mila, il 47, 1%, meno della metà. Il nuovo sindaco, Gaetano Manfredi, del Pd, con 13 liste che lo sostenevano, tra le quali Pd e l Movimento 5 Stelle, ha raccolto 218mila e 77 voti, cioè è stato scelto da circa il 35% del totale dei napoletani che avevano diritto votare. Sarà un sindaco di minoranza, votato da un terzo degli elettori. Il suo avversario principale, il pm Catello Maresca, voluto da Lega, FdI e Forza Italia, con 8 liste a sostegno, ha raccolto circa 76mila 891 voti, meno del 10% degli elettori.

Cifre addirittura imbarazzanti per gli altri cinque candidati a sindaco. Spicca il fallimento di Antonio Bassolino, ex sindaco di Napoli e presidente della Regione Campania dal 1993 al 2010, padrone incontrastato della politica cittadina e regionale per 17 anni, molto più di Achille Lauro (sindaco per soli 5 anni) e di ogni altro politico della storia recente, che ha raccolto solo 28mila voti, l’8,2% di chi a votare c’è andato, che significa meno del 4% del totale degli elettori. Bassolino era il candidato dei giornali, “Il Mattino” e “la Repubblica” anzitutto, che fino all’ultimo lo hanno accreditato ad un possibile ballottaggio con Manfredi, anche se sapevano perfettamente che nessun sondaggio gli aveva assegnato più del 13%.

È la grande mistificazione di una politica raccontata da giornalisti che lavorano per il Paese legale, per il Palazzo e non per il Paese reale, e che contribuisce a spiegare la grave crisi di credibilità dei mass-media.

La candidata del sindaco uscente, Luigi De Magistris, sindaco di Napoli per 10 anni, Alessandra Clemente, vicesindaco e assessore con numerose deleghe, raccoglie 19mila voti, cioè il 5,58%, che equivale a meno del 3% del totale di chi aveva diritto al voto.

Bocciate anche le formazioni che si presentavano come “antagoniste”. Gli estremisti comunisti di Potere al Popolo, una formazione nata all’interno di un “Centro sociale”, ospitato gratuitamente in un edificio pubblico messo a disposizione dall’ex sindaco De Magistris, che appoggiavano Alessandra Clemente, hanno raccolto 4mila 300 voti, l’1,33, che sul totale dei votanti significa una percentuale preceduta dallo zero.

Una lista era stata presentata anche da Equità Territoriale, un gruppo che si qualifica come meridionalista, caratterizzato da posizioni ideologiche di matrice marxista. In Calabria, il movimento si era schierato con Luigi De Magistris, candidato alla presidenza della Regione, ma poi aveva rotto con l’ex sindaco di Napoli due settimane prima del voto per motivi non chiariti. La lista di Equità Territoriale ha raccolto in tutto 921 voti, collocandosi al 31° posto tra le 32 liste in competizione, con lo 0,28%, una percentuale infinitesimale sul totale degli elettori.

 

MANFREDI, IL SINDACO DI UNA MINORANZA

Il neo-sindaco Manfredi parla di “risultato straordinario”, il suo partito, il Pd, si vanta di essere “il primo partito della città”, ma i dati mettono in discussione la loro rappresentatività. Se Manfredi è il sindaco di un terzo dei napoletani, il Pd, con meno di 40mila voti raccolti ( 12,2%) ha il consenso del 5% circa degli elettori. Le altre forze politiche sono tutte al di sotto di queste cifre.

32 liste, 7 aspiranti sindaco, 2mila 200 candidati, compresi quelli delle 10 Municipalità (cfr. Napoli al voto tra Poteri forti, pm e opportunisti”. LN 159/21) non sono bastati a dare una motivazione per votare ad oltre 410mila napoletani, il 53% del totale degli elettori.

Nonostante il teatrino delle polemiche, che convince sempre meno, partititi e candidati sono stati giudicati parte di un sistema ideologicamente omogeneo ed inaffidabili sul piano della rappresentanza.

L’AGENDA PER NAPOLI della Fondazione Il Giglio, un pro-memoria per i candidati, ha suscitato notevole interesse ma soprattutto tra gli elettori, piuttosto che tra i politici. Il Giglio continuerà a monitorare l’attività degli eletti in consiglio comunale, in linea con la battaglia civica e culturale che combatte.

 

CHI VA A VOTARE ?

Gli studiosi della politica distinguono tra voto di opinione (basato su affinità ideale) e voto di interesse, che può scadere nel voto di scambio. A Napoli il voto di opinione – questo dicono le cifre – si è fortemente ristretto. E sopravvive in parte soprattutto nei quartieri medio-alto borghesi. Nella Municipalità 1 (Chiaia-Posillipo-San Ferdinando) ha votato il 52, 4%.più di 5 punti percentuali oltre la media cittadina; nella Municipalità 5 (Vomero-Arenella), il 54,5. Ma nella periferia orientale di San Giovanni a Teduccio-Barra e Ponticelli (Municipalità 6) la partecipazione è crollata al 42,2% ; alla periferia Nord di Miano, Secondigliano e San Pietro a Patierno (Municipalità 7) al 42,6%.

 Va in controtendenza l’area Nord di Piscinola, Marianella, Chiaiano e Scampia (Municipalità 8). Ma qui il Pd ha schierato ministri e parlamentari, dal ministro del lavoro Andrea Orlando al figlio del presidente della Regione Piero De Luca, ed ha concluso la campagna elettorale, il 1 Ottobre, davanti ad un pubblico costituito esclusivamente dai vari “comitati di lotta” delle Vele, delle “case dei Puffi”, dei “Disoccupati di Scampia”, ecc., promettendo di tutto…

Nel centro storico di Napoli, (Municipalità 2, Avvocata, Montecalvario Mercato-Pendino Porto, San Giuseppe) infatti la percentuale dei votanti si allinea al 43,3 con le periferie degradate.

 A votare ci va ancora una fetta medio-alto borghese, nella quale si conta la maggior parte degli elettori del prof. Gaetano Manfredi, ex rettore della Università Federico II, ed espressione dei poteri forti. Tra i ceti popolari, le componenti assistite, più dipendenti dalla politica, come i percettori del reddito minimo di cittadinanza che il Movimento 5 Stelle, alleato del Pd, e lo stesso Pd hanno difeso con tutte le loro forze

Chi alla rappresentanza della proprie idee da parte delle forze politiche non crede più, e chi non ha bisogno di essere assistito dai politici, a votare non ci va più. Neanche alle Comunali, che per definizione sono le elezioni più vicine agli interessi degli elettori. Si votava per scegliere chi dovrà guidare la città nei prossimi cinque anni. Ma in tanti, la maggioranza, hanno pensato che non ne valeva la pena. Tanto, c’era poco da scegliere…. (LN161/21)