(Lettera Napoletana) Due libri offrono un contributo significativo alla conoscenza della figura di Francesco II di Borbone-Due Sicilie, dichiarato nel Dicembre 2020 Servo di Dio dalla Chiesa cattolica. Il primo è il saggio “ Francesco II di Borbone, il Re Cattolico” ( Centro Studi sul Risorgimento e gli Stati Preunitari, Modena 2015, pp.158, € 20).

Il volume, con la presentazione di S.A.R il Principe Carlo di Borbone – Due Sicilie e la prefazione di Mons. Luigi Negri, Arcivescovo Emerito di Ferrara – Comacchio, raccoglie i contributi di Roberto de Mattei (“Francesco II da Gaeta all’esilio 1861 – 1894”); Massimo Viglione (“Francesco II di Borbone, re delle Due Sicilie. Un giovane solo dinnanzi al divenire della storia”), Cristina Siccardi (“Maria Cristina di Savoia, Regina delle Due Sicilie”), Don Mauro Tranquillo (“Il nostro regno di qual e di là del faro : legame costituzionale tra la Chiesa Romana e le Due Sicilie”); Elena Banchini Braglia (“Un duello all’ultimo sangue tra la bellezza e la morte. Francesco II al tramonto di un’epoca”).

Arricchisce il libro un inedito di Francesco II di Borbone (“Riflessioni sull’Opuscolo Armi e Politica”), scritto negli ultimi anni di vita ad Arco di Trento (Trento), dove si spense nel 1894, a soli 58 anni. Lo scritto, ritrovato dal ricercatore e collezionista Girolamo Broya de Lucia, è pubblicato integralmente:

«Meditando sulla storia d’Italia, sui monumenti di sua antica grandezza, vi si legge l’origine diversa della sue popolazioni (…) Ogni città d’Italia ha le sue tradizioni, i suoi costumi, le sue glorie, i suoi pregiudizi (…) Che cosa ha fatto il Governo italiano per acclimatare questi elementi eterogenei? Che cosa ha fatto per affezionarsi queste popolazioni? Nulla, anzi ha lavorato e lavora per frangere la sola unità che vi rimaneva, quella unità che l’à redenta dalla vera schiavitù: unità religiosa, l’unità di fede che col sangue di milioni di martiri gli aprì la via della vera Civiltà».

Una trentina d’anni dopo l’invasione piemontese del Regno, l’ultimo Sovrano delle Due Sicilie guarda senza acrimonia, ma lucidamente, ai risultati disastrosi dell’unificazione dell’Italia ed all’operato del Governo italiano e formula quella che appare oggi come una profezia: «Che non si illudano i Governi; la Religione è elemento di ordine e di forza; senza religione non v’ha progresso civile. I più vasti Imperi caddero allorché persero ogni credenza! (…) Corrompete i costumi e imperate fu la filosofia di quei tempi. Corrompete ed imperate, pare fosse la filosofia del nostro progresso: le conseguenze potrebbero essere le stesse».

«L’unificazione italiana si attuò con la violenza, in spregio del diritto internazionale e della legge naturale – scrive lo storico Roberto de Mattei nell’introduzione al volume – il conte di Cavour, che ne fu il principale artefice, era un politico spregiudicato ed immorale, che usò tutti i mezzi per raggiungere il suo scopo, incoraggiando il terrorismo di Mazzini e l’avventurismo di Garibaldi. Il principio cavourriano, libera Chiesa in libero Stato, separò di fatto non solo la Chiesa dallo Stato, ma anche la politica dalla morale».

Il Regno delle Due Sicilie aveva, fin dalle sue origini normanne, che Francesco II ed i suoi predecessori richiamavano con orgoglio (“l’antica monarchia di re Ruggiero), una speciale relazione con la Chiesa, ricostruita nel saggio di Don Mauro Tranquillo. L’odio del liberalismo e della massoneria contro le Due Sicilie, che portò alla guerra non dichiarata mossa da Inghilterra, Francia e Piemonte, ed all’invasione, si spiega così, con la necessità di abbattere il baluardo principale nella penisola dello Stato Pontificio.

Il secondo libro è del sacerdote e studioso di Storia delle Due Sicilie, Don Luciano Rotolo: Francesco II di Borbone-Due Sicilie. Un Re da condannare o da riscoprire? (Edizioni Viverein, Monopoli 2019, pp. 147, € 12,00).

«Il 22 Giugno 1860 il Governo di Francesco II di Borbone – rileva lautore – chiudeva il bilancio, registrando un attivo di 31 milioni di ducati. Ad aprile, il Re aveva disposto l’installazione di mulini a vapore in tutto il Regno per la macinazione gratuita del grano per favorire i ceti meno abbienti liberandoli dalla spesa per il macinato. Francesco II aveva convocato le società appaltatrici dei lavori per le nuove linee ferroviarie ed aveva deciso il 28 Aprile, con un Real decreto, la realizzazione della linea ferroviaria adriatica, della linea calabrese, di quella degli Abruzzi (mai più realizzate dallo Stato italiano) e di linee ferroviarie per la Sicilie. Qui la Commissione incaricata, aveva già messo a punto i progetti, ma tutto si fermò per l’invasione garibaldina».

«L’ultimo Sovrano delle Due Sicilie aveva pianificato la bonifica del lago Fucino, negli Abruzzi, il raddrizzamento del fiume Sarno, in Campania, aveva ordinato la servitù degli acquedotti per favore l’irrigazione dei campi ed aveva impartito disposizioni per evitare l’impaludamento delle terre».

«Un simile Re andava immediatamente fermato e tolto di mezzo – scrive Don Rotolo – il rischio che la popolazione potesse nel tempo conoscerlo, apprezzarlo e amarlo era serissimo e quindi bisognava assolutamente eliminarlo e detronizzarlo, altrimenti i progetti che vedevano la convergenza della Gran Bretagna, della Massoneria e del Piemonte non avrebbero avuto spazio di realizzazione».

La letteratura su Francesco II (con qualche eccezione, come il bel saggio di Pier Giusto Jaeger, Francesco II. l’ultimo Re di Napoli, Mondadori, Milano 1982) ha tracciato il ritratto di un sovrano imbelle e bigotto. «Un seminarista vestito da generale – ricorda Don Rotolo – come riportato anche da Tomasi di Lampedusa nel suo Il Gattopardo. Nulla di più falso! Francesco II aveva una fede smisurata in Dio, confidava in lui, ma non per questo assunse atteggiamenti passivi o fatalistici, anzi cercò costantemente di reagire». Oltre all’eroismo mostrato nella difesa di Gaeta, l’autore ricorda che nel 1859, quando scoppiò la sommossa del quarto Reggimento svizzero, alimentata da agenti piemontesi, Francesco II dichiarò di volersi mettere alla testa del Primo Reggimento Svizzero per domare la rivolta e presentò ai generali un piano per sconfiggere i rivoltosi. Nel 1860, alla notizia dell’invasione garibaldina, Francesco II ipotizzò di assumere il comando delle truppe in Sicilia, e fu fermato solo dal clima di congiura e di incertezza che si viveva a Napoli e dai rischio di lasciare indifesa la capitale del Regno di fronte alla trame dei liberali.

Alla battaglia del Volturno (1-2 Ottobre 1860), Francesco II spinge sui generali, in particolare sull’esitante Giosuè Ritucciministro della Guerra, per riprendere l’iniziativa e marciare su Napoli, approfittando dello sbandamento tra le truppe garibaldine, messe a dura prova da una battaglia che, come riconosce Jaeger, studioso non di parte borbonica, si risolse in un sostanziale pareggio tra invasori e difensori, lasciando ciascuno sulle proprie posizioni.

«Cara Marie – scriveva il Re alla consorte Maria Sofia di Baviera – (…) la vittoria non l’abbiamo colta per un pelo e i miei napoletani si sono battuti da eroi contro gli invasori del nostro Regno. Ora si prepara un fatto molto più grave. Io tornerò a pregare il generale Ritucci perché si dedica a marciare decisamente su Napoli e risparmi l’onta dell’umiliazione all’intera città».

Ritucci non era un traditore, a differenza di altri generali corrotti dai piemontesi o arruolati nelle logge massoniche, e rimase fedele ai Borbone, comandando la piazzaforte di Gaeta durante l’assedio e poi rifiutando di entrare nell’esercito italiano, ma apparteneva alla vecchia scuola di alti ufficiali dell’esercito borbonico, e nel 1860 aveva già 66 anni.

A soli 23 anni, Francesco II aveva ereditato un esercito numericamente forte, con soldati e quadri intermedi valorosi, ma con alti ufficiali e generali infiltrati dalle sette ed ormai anziani. «Anche in questo caso – scrive Don Rotolo nel suo libro – Francesco II pagava colpe non sue e subiva le conseguenze della politica paterna che, per non pesare troppo sul bilancio dello Stato, aveva previsto il conseguimento dei gradi di ufficiale attraverso un sistema di contribuzione personale dei candidati o per anzianità: mancavano quindi, tranne rare eccezioni, ufficiali e generali giovani e veramente capaci da opporre al nemico». (LN155/21)

 

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