(Lettera Napoletana) Che cosa dicono al Sud i risultati delle regionali del 20-21 Settembre in Campania e Puglia? Anzitutto, confermano la sfiducia dei meridionali verso la classe politica, ed i partiti, non solo quelli vecchi, ma anche quelli “nuovi”.

L’ASTENSIONISMO AL 45 %

In Campania ha votato il 55,4 degli elettori, in Puglia il 56, 4. Qualche punto percentuale in più rispetto alle regionali del 2015 (Campania, 51,9%; Puglia 51,1% ) ma solo grazie al contemporaneo referendum sul taglio del numero dei parlamentari, che ha “trascinato” il voto per le regionali.

Il referendum – al di là del vero problema, che è la qualità della rappresentanza (cfr. LN 150/20) – è stato visto come l’occasione per punire una classe politica inaffidabile, subalterna e tecnicamente scadente ed ha determinato così una partecipazione sensibilmente più alta delle elezioni regionali (Campania, 61%; Puglia, 61,9%).

BOCCIATI VECCHI E NUOVI PARTITI

La sfiducia dei meridionali ha colpito il Pd, ma anche il Movimento 5 Stelle. La Lega (che in Campania non era presente alle regionali 2015) non ha sfondato, pur ottenendo un buon risultato in Puglia (9,5% con 160mila voti). Fratelli d’Italia (la continuazione di Alleanza Nazionale, più che un nuovo partito) aumenta sensibilmente in Puglia, molto meno in Campania, partendo, però, da percentuali basse.

L’estrema sinistra, che schierava i comunisti di Rifondazione e Pdci, Sinistra italiana, il “Centro sociale” Insurgencia, quello che resta di Dema, partitino personale del sindaco di Napoli Luigi De Magistris, e Potere al Popolo, raccoglie l’1.27% in Campania con la listaTerra” (Rifondazione comunista, Comunisti italiani, Sinistra italiana, Insurgencia, Comitato Stop Biocidio e Dema). Potere al Popolo, espressione del “Centro sociale” “Je so’ pazzo”), che occupa i locali dell’ex Ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli, messo a disposizione dalla giunta De Magistris, raccoglie l’1.20%. In Puglia Lavoro Ambiente Costituzione”, lista che comprendeva Partito comunista italiano, Rifondazione comunista e Risorgimento socialista, ottiene lo 0.35%.

Terzo Polo”, un cartello elettorale sostenuto anche da alcuni movimenti meridionalisti ed identitari, che si è presentato solo in Campania, con liste incomplete e senza nessun sostegno dei mass-media, raccoglie lo (0.16%) con una presenza di testimonianza.

LE CIFRE REALI DEL VOTO

Le percentuali sono tanto più alte quanto più cresce l’astensionismo, ed i confronti con elezioni diverse tra loro come amministrative, politiche ed europee possono confondere il giudizio. È così che quasi tutti i partiti possono affermare di aver vinto. Prendiamo allora a base il criterio dei voti raccolti ed il confronto omogeneo con le regionali del 2015. Le elezioni politiche del marzo 2018 e le Europee del maggio 2019, anche se più recenti, sono un riferimento meno significativo.

LA SCONFITTA DEI VECCHI PARTITI

Il Pd perde oltre 45mila voti in Campania rispetto alle regionali del 2015. Raccoglie meno di 2mila voti in più rispetto al pessimo risultato delle politiche (marzo 2018) e perde circa 20mila voti rispetto alle Europee (maggio 2019). Va peggio in Puglia, dove perde quasi 155mila voti rispetto alle regionali del 2015, e perde altri 10mila voti sulle politiche del 2019. Rispetto alle Europee, il Pd perde oltre 128mila voti.

Forza Italia perde in Campania quasi 285mila voti sulle regionali 2015 e 427mila sulle politiche (-13.04). Rispetto alle Europee, il calo è di oltre 176mila voti.

LA DELUSIONE PER I NUOVI PARTITI

Per Il Movimento 5 Stelle è il tracollo. In Campania, rispetto alle regionali del 2015, il calo è di oltre 153mila voti, ma rispetto alle politiche i voti persi sono un milione e 253mila. In percentuale è 39,4%. Fortissima la perdita anche rispetto alle Europee del 2019 (-505mila voti, – 23,6%). In Puglia, M5S perde oltre 180mila voti sulle regionali del 2015. Rispetto alle politiche 2018, i voti si riducono a poco più di un quinto, da 981mila a 207mila (-33,8). Sulle Europee la perdita è di oltre 210mila voti (-15,1)

Fratelli d’Italia in Campania guadagna poco più di 16mila voti sulle regionali 2015, circa 36mila sulle politiche 2018 e poco più di 13mila sulle europee. In Puglia Fdi cresce molto e guadagna oltre 172mila voti sulle regionali (quasi 130mila rispetto alle politiche e quasi 70mila sulle Europee 2019). I partiti di centrodestra, però, si redistribuiscono i voti all’interno della coalizione, che complessivamente non cresce di molto.

La Lega in Campania si presentava per la prima volta alle regionali. Ottiene poco più di 133mila voti (5,65%). Un aumento di circa 4mila voti sulle politiche, ma una perdita di oltre 286mila rispetto alle Europee del 2019. In Puglia, invece, raccoglie 160mila voti (9,5%) e guadagna oltre 120mila voti rispetto al 2015, aumenta anche sulle politiche del 2018 (+ 25mila voti) ma resta molto al di sotto del risultato delle Europee (- 242mila voti)

UNA CLASSE POLITICA UGUALE, AL DI LÀ DEI PARTITI

Il Movimento 5 Stelle paga più di tutti il prezzo della delusione del Sud verso una forza politica rivelatasi uguale alle altre, sia per il disinteresse verso il Paese reale, che per i pregiudizi ideologici come l’ossessione del “pubblico, cioè il controllo statale (di fatto, dei partiti che occupano lo Stato ) dell’economia, la scuola, la sanità, i trasporti, e l’avidità di potere, non inferiore a quelli degli altri partiti, dei suoi dirigenti e dei suoi eletti.

La Lega nel programma ha alcune proposte, come la flat-tax (utile alle piccole e medie imprese), il contrasto all’immigrazionismo (che al Sud significa importazione di sottosviluppo) e la lotta alla criminalità, che avrebbero una ricaduta positiva sul Sud, ma ha fatto uno scelta di tipo neo-coloniale inviando come coordinatori in Campania, Puglia e Sicilia, parlamentari del Nord. Alle regionali ha imbarcato in lista personaggi di ogni provenienza, riciclati di lungo corso, purché in grado di convogliare voti. Così ha eletto in Campania l’ex del Pd e di Forza Italia Severino Nappi e l’ex di Udc, Fi, e “Cambiamo” (il movimento di Giovanni Toti ) Giampiero Zinzi. I due hanno totalizzato da soli un quarto del totale dei voti raccolti dal partito di Salvini.

Lo stesso metodo, moltiplicato, è stato usato per comporre le liste che sostenevano i due governatori uscenti del Pd, Vicenzo De Luca (Campania) e Michele Emiliano (Puglia). De Luca ha schierato 15 liste a sostegno. Oltre a De Mita (già decisivo per la sua elezione nel 2015), Clemente Mastella, passato più volte dal centrodestra al centrosinistra e viceversa, e perfino Paolo Cirino Pomicino. Molti gli ex, provenienti dal centrodestra come dalla sinistra, svuotato il movimento di De Magistris, Dema, diversi “i figli d’arte, con alle spalle un papà ex parlamentare, consigliere, assessore… candidati in liste come il “partito animalista”, i “liberali e democratici moderati”, i “democratici progressisti”, e perfino nel defunto da anni “partito repubblicano italiano”, una copertura delle logge. Impossibile individuare un progetto politico in un calderone dove l’unico amalgama è l’ambizione del potere.

Anche Emiliano ha messo insieme 15 liste a sostegno, dalla DC alla “Sinistra alternativa” con falce e martello come simbolo, al partito animalista, ai pensionati, ad un sedicente “partito del Sud”. Di tutto, di più, nell’arrembaggio alle poltrone di consigliere regionale (stipendio lordo 12mila euro mensili, ai quali si aggiungono benefit e rimborsi).

IL SUD SENZA RAPPRESENTANZA, COME USCIRNE

Se il centrodestra ha candidato in Campania per le terza volta Stefano Caldoro, entrato in consiglio regionale nel 1985, ed in Puglia Raffaele Fitto, che ha cominciato la sua carriera politica nella DC ed è passato per Forza Italia ed il movimento “Noi con l’Italia”, prima di approdare a FdI, la sinistra ha candidato Vincenzo De Luca (carriera cominciata negli anni ’70 nel Pci e proseguita nel Pds, nei Ds e nel Pd) e Michele Emiliano, un magistrato entrato in politica – senza dimettersi dalla magistratura – nel 2003, grazie a Massimo D’Alema, che è stato sindaco di Bari per 10 anni e, dal 2015, presidente della Regione Puglia.

È la fotografia di una classe politica, che – al di là del teatrino a beneficio di quelli che a votare ancora ci vanno – presenta al suo interno differenze molto meno significative di quanto faccia apparire. Con questa classe politica il Sud non può risollevarsi. Ne occorre una nuova, da formare nella cultura e nella tradizione del Sud, senza i condizionamenti delle ideologie che ci hanno diviso e portato alla sconfitta.

Dopo il referendum sul taglio dei parlamentari si prepara una nuova legge elettorale, forse con uno sbarramento ancora più alto. La strada di una presenza diretta in parlamento è impraticabile, e comunque non è perseguibile attraverso i partiti. Nei consigli comunali e regionali, cominciando dai centri più piccoli, si può invece entrare con liste civiche, non organizzate sui base ideologica, che possano poi confederarsi tra loro.

Ma c’è un’altra cosa, che si può fare da subito: organizzarsi come gruppo di pressione e premere sui politici, almeno a livello locale, per fare rappresentare gli interessi reali, dalla memoria storica, con la toponomastica ed i monumenti, alla valorizzazione dei prodotti del Sud e del suo patrimonio culturale. Così si recupera e si difende una identità. È il terreno di coltura dei nuovi politici. (LN151/20)