La guerra si combatteva sotto il 17° parallelo, dove passava il confine, nel territorio del Vietnam del Sud, prima infiltrato dai Viet-Cong e poi attaccato dall’esercito del Vietnam del Nord, armato dall’URSS e dalla Cina. Eppure si parlava di “Vietnam liberato”.
Il 30 aprile 1975 i soldati americani abbandonavano Saigon, mentre le truppe corazzate nord-vietnamite avevano già occupato i punti strategici della capitale. Fu la più grande evacuazione della Storia, una fuga precipitosa a bordo di elicotteri ai quali si aggrappavano disperatamente i sud-vietnamiti. Tra loro circa un milione di cattolici, fuggiti al Sud dopo la sconfitta dei francesi a Dien Bien Phu, nel 1954.
Saigon veniva ribattezzata Città Ho-Chi-Min, il primo ministro comunista nord-vietnamita, il Vietnam diventava la “repubblica socialista del Vietnam”.
Circa 800mila vietnamiti fuggirono in mare verso l’Occidente, su barconi strapieni. Secondo il prof. Raymond Le Van Mao, docente alla Concordia University di Montreal e responsabile del “Programma di patronato dei rifugiati vietnamiti”, i morti furono circa 300mila.
Li chiamavano boat-people. Nessuno ebbe pietà di loro. In Italia la sinistra si opponeva ai soccorsi. “Chi ricordava gli orrori del Vietnam comunista – ha scritto il missionario Padre Piero Gheddo, fondatore di “Asia News”– veniva bollato come minino da provocatore finanziato dalla Cia” (“Libero”, 27.11.2017).
Solo nel 1979 tre navi della Marina italiana furono finalmente inviate nel Sud-Est asiatico per recuperare un migliaio di profughi, poi accolti dal volontariato cattolico. Sul Vietnam comunista calava il silenzio.
Che cosa rese possibile la sconfitta della principale potenza militare del mondo, che aveva schierato fino a mezzo milione di soldati in Vietnam? Una gigantesca campagna di intossicazione dell’opinione pubblica occidentale.
Negli USA, dal 1964, i liberal, il movimento pacifista, il piccolo ma influente Partito comunista americano, radicato nel mondo dello spettacolo, con testimonial militanti come Jane Fonda, Joan Baez, Bob Dylan, avevano lanciato la campagna per il ritiro delle truppe americane. Lo slogan “Make love, not war” fu creato allora. Guerra psicologica per demoralizzare i soldati al fronte. A Natale 1972 Joan Baez si recò ad Hanoi, ci rimase 12 giorni ed incise un disco con effetti speciali che simulavano i bombardamenti americani. Jane Fonda si fece fotografare nella capitale del Vietnam del Nord, seduta su un cannone antiaereo, utilizzato contro gli aerei USA. Bob Dylan trasformò “Blowin’in the Wind” nell’inno del movimento pacifista e disfattista. Secondo la lobby mondialista Council on Foreign Relations, il brano è al primo posto tra le 20 “migliori canzoni di protesta” contro la guerra in Vietnam…
E in Europa i partiti comunisti e socialisti, i sindacati Cgil-Cisl-Uil, i cattolici progressisti, erano in prima fila nell’operazione di disinformazione che trasformava gli americani in aggressori ed i comunisti nord-vietnamiti in liberatori. “Siamo tutti Viet-Cong”, era lo slogan del “Movimento studentesco”, e da Milano a Berlino i cortei “per la pace in Vietnam” scandivano il nome di Ho Chi Minh.
45 anni dopo la “Repubblica socialista del Vietnam” è un sistema totalitario sul modello cinese. Il capo dello Stato è il segretario del Partito comunista. La minoranza cristiana dei Montagnards (abitanti degli altipiani ai confini con la Cambogia), un milione circa, viene duramente repressa. Il semplice possesso di un crocifisso comporta l’arresto e la tortura. Nel 2012 il Governo vietnamita ha annunciato la creazione di “Force 47”, unità di 10mila militari specializzati nel controllo informatico, per individuare “le forze reazionarie ed ostili”. I prigionieri politici arrestati per il reato di “propaganda contro lo Stato” sono almeno 200, secondo “Vietnam Human rights network”. Il regime di Hanoi – ha denunciato “Reporters sans frontières” – ha concesso un anno di tempo a Facebook per conformarsi alla legge dello Stato…
Tutto questo è cominciato quel 30 aprile 1975.
Vedi il video A Saigon, quel 30 aprile 1975 …