(Lettera Napoletana) Il 22 Giugno 1860 il Governo di Francesco II di Borbone chiudeva il bilancio, registrando un attivo di 31 milioni di ducati. Ad aprile, il Re aveva disposto l’installazione di mulini a vapore in tutto il Regno per la macinazione gratuita del grano per favorire i ceti meno abbienti liberandoli dalla spesa per il macinato. Francesco II aveva convocato le società appaltatrici dei lavori per le nuove linee ferroviarie ed aveva deciso il 28 Aprile, con un Real decreto, la realizzazione della linea ferroviaria adriatica, della linea calabrese, di quella degli Abruzzi (mai più realizzate dallo Stato italiano) e di linee ferroviarie per la Sicilie. Qui la Commissione incaricata, aveva già messo a punto i progetti, ma tutto si fermò per l’invasione garibaldina.

L’ultimo Sovrano delle Due Sicilie aveva pianificato la bonifica del lago Fucino, negli Abruzzi, il raddrizzamento del fiume Sarno, in Campania, aveva ordinato la servitù degli acquedotti per favore l’irrigazione dei campi ed aveva impartito disposizioni per evitare l’impaludamento delle terre.

Sono alcune delle decisioni del breve governo di Francesco II di Borbone (22 Maggio 1859- 13 Febbraio 1861) ricordate da Don Luciano Rotolo in un libro appena uscito, Francesco II di Borbone-Due Sicilie. Un Re da condannare o da riscoprire? (Edizioni Viverein, Monopoli 2019, pp. 147, € 12,00).

«Un simile Re andava immediatamente fermato e tolto di mezzo – scrive Don Rotolo il rischio che la popolazione potesse nel tempo conoscerlo, apprezzarlo e amarlo era serissimo e quindi bisognava assolutamente eliminarlo e detronizzarlo, altrimenti i progetti che vedevano la convergenza della Gran Bretagna, della Massoneria e del Piemonte non avrebbero avuto spazio di realizzazione».

La letteratura su Francesco II (con qualche eccezione, come il bel saggio di Pier Giusto Jaeger, Francesco II. l’ultimo Re di Napoli. Mondadori, Milano 1982) ha tracciato il ritratto di un sovrano imbelle e bigotto. «Un seminarista vestito da generale – ricorda Don Rotolocome riportato anche da Tomasi di Lampedusa nel suo “Il Gattopardo». Nulla di più falso! Francesco II aveva una fede smisurata in Dio, confidava in lui, ma non per questo assunse atteggiamenti passivi o fatalistici, anzi cercò costantemente di reagire”. Oltre all’eroismo mostrato nella difesa di Gaeta, l’autore ricorda che nel 1859, quando scoppiò la sommossa del quarto Reggimento svizzero, alimentata da agenti piemontesi, Francesco II dichiarò di volersi mettere alla testa del Primo Reggimento Svizzero per domare la rivolta e presentò ai generali un piano per sconfiggere i rivoltosi. Nel 1860, alla notizia dell’invasione garibaldina, Francesco II ipotizzò di assumere il comando delle truppe in Sicilia, e fu fermato solo dal clima di congiura e di incertezza che si viveva a Napoli e dai rischio di lasciare indifesa la capitale del Regno di fronte alla trame dei liberali.

Alla battaglia del Volturno (1-2 Ottobre 1860), Francesco II spinge sui generali, in particolare sull’esitante Giosuè Ritucci, ministro della Guerra, per riprendere l’iniziativa e marciare su Napoli, approfittando dello sbandamento tra le truppe garibaldine, messe a dura prova da una battaglia che, come riconosce Jaeger, studioso non di parte borbonica, si risolse in un sostanziale pareggio tra invasori e difensori, lasciando ciascuno sulle proprie posizioni.

«Cara Marie – scriveva il Re alla consorte Maria Sofia di Baviera – (…) la vittoria non l’abbiamo colta per un pelo e i miei napoletani si sono battuti da eroi contro gli invasori del nostro Regno. Ora si prepara un fatto molto più grave. Io tornerò a pregare il generale Ritucci perché si dedica a marciare decisamente su Napoli e risparmi l’onta dell’umiliazione all’intera città».

Ritucci non era un traditore, a differenza di altri generali corrotti dai piemontesi o arruolati nelle logge massoniche, e rimase fedele ai Borbone, comandando la piazzaforte di Gaeta durante l’assedio e poi rifiutando di entrare nell’esercito italiano, ma apparteneva alla vecchia scuola di alti ufficiali dell’esercito borbonico, e nel 1860 aveva già 66 anni.

A soli 23 anni, Francesco II aveva ereditato un esercito numericamente forte, con soldati e quadri intermedi valorosi, ma con alti ufficiali e generali infiltrati dalle sette ed ormai anziani. «Anche in questo caso – scrive Don Rotolo nel suo libroFrancesco II pagava colpe non sue e subiva le conseguenze della politica paterna che, per non pesare troppo sul bilancio dello Stato, aveva previsto il conseguimento dei gradi di ufficiale attraverso un sistema di contribuzione personale dei candidati o per anzianità: mancavano quindi, tranne rare eccezioni, ufficiali e generali giovani e veramente capaci da opporre al nemico.». ( LN 142/19)

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