Lucio Militano
La Marina Mercantile delle Due Sicilie
prima edizione 2017
pagine 96, 8 immagini a colori
€ 10,00 – sconto Soci 30%
Le sensiglie erano bandiere reggimentali appartenenti ai Tercios della Napoli ispanica.
Riadottate dalla fanteria dell’Esercito delle Due Sicilie, erano segni distintivi dei tre battaglioni reggimentali. Con questa nuova collana, che presenta testi facilmente fruibili che mettono a disposizione del lettore informazioni altrimenti disperse e difficilmente reperibili, Il Giglio vuole raccogliere la forza simbolica degli antichi stendardi militari per difendere, con lo stesso spirito, la memoria storica delle Due Sicilie.
Il quarto volume della collana è dedicato alla Marina Mercantile delle Due Sicilie e ne è autore Lucio Militano, ingegnere navale e meccanico.
Il contesto storico
Le Due Sicilie erano un Regno “circondato per due terzi dall’acqua salata e per un terzo dall’acqua santa”, e la maggior parte della sua popolazione viveva in prossimità delle coste. Una fetta importante del territorio, la Sicilia, era un’isola e diversi arcipelaghi, per lo più abitati, si affacciavano nei golfi dei tre mari che bagnavano il Regno. La marineria faceva parte da sempre del DNA dei popoli che abitavano quelle coste, che dal mare avevano visto arrivare grandezze e pericoli, per mare erano partiti per scrivere la storia millenaria del Mediterraneo.
Non meraviglia, quindi, la grande attenzione che alla marineria hanno dedicato i Borbone, sin da Carlo, primo Re dal 1734. Né può sorprendere che, alle soglie dell’invasione e dell’unificazione, la Marina Mercantile delle Due Sicilie fosse la prima della Penisola, per numero e tonnellaggio del naviglio e per capacità tecnologica ed organizzativa, così come lo era quella Militare.
Tra navi d’altura, a vela e a vapore, e naviglio di grande e di piccolo cabotaggio, nel 1860 erano registrate nei porti delle Due Sicilie oltre 11600 imbarcazioni, che si dedicavano prevalentemente al trasporto di merci e viaggiatori e alla comunicazione postale.
Le navi borboniche hanno percorso tutto il Mediterraneo e hanno solcato tutti gli Oceani, rappresentando un veicolo di sviluppo per il commercio e l’industria del Regno e di ricchezza.
Fu borbonico il primo piroscafo a vapore salpato da un porto italiano, il Ferdinando I, nel 1818, e sempre borbonico fu il primo piroscafo che raggiunse l’America, il Sicilia, nel 1853, in soli 26 giorni di traversata.
Durante il Regno di Ferdinando II, l’incremento di viaggi e di commerci con le Americhe ebbe una crescita esponenziale, di anno in anno, diffondendo nel mondo prodotti agricoli – olio, vino, pasta, grano – ma anche legname, zolfo, sete, pellami e strumenti tecnologici altamente specializzati, come quelli ottici.
Intorno alla metà dell’800, le navi delle Due Sicilie trasportavano il 56% delle merci esportate, per circa 15 milioni di ducati, e il 64% di quelle importate, per circa 11 milioni di ducati.
E accanto al commercio marittimo, un considerevole indotto meccanico e tecnologico consentì di raggiungere primati anche nella cantieristica e nello sviluppo delle strutture portuali.
La rete di porti, grandi e piccoli, circondava l’intera costa del Regno, da Gaeta fino a San Benedetto del Tronto, passando per la Sicilia. Diffusissimi i cantieri navali, in grado di varare dal brigantino d’altura di 300 tonnellate al gozzo per il trasporto costiero. E, soprattutto per le imbarcazioni di dimensioni medie e minori, la proprietà era molto spesso familiare, con il comandante-armatore e l’equipaggio formato dai familiari, oppure da piccole società costituite dai marinai stessi, a testimonianza di una ricchezza e di una autonomia lavorativa diffusa, non sottoposta al grande capitale.
Il primo bacino di carenaggio in muratura, 75 metri, fu costruito nel porto di Napoli, nel 1852; i Cantieri Navali di Castellammare di Stabia occupavano 2000 addetti; a Pietrarsa si costruiva tutto ciò che era necessario alla navalmeccanica.
E i Borbone, consapevoli dell’importanza del settore navale, non tralasciarono mai l’ammodernamento tecnologico delle strutture. Il primo faro lenticolare Fresnel, a luce costante con splendori ed eclissi periodiche, il più avanzato strumento dell’epoca, fu inaugurato a Nisida (NA) il 3 luglio 1841. Nei successivi venti anni, altri 30 porti furono dotati dei fari Fresnel e sono tutt’ora funzionanti.
Dopo l’unificazione, come tutti gli altri settori industriali, anche la Marina Mercantile subì un rapido decadimento, soprattutto a danno del piccolo e medio cabotaggio: già nel 1864 il numero delle imbarcazioni era quasi dimezzato.
L’opera
Frutto di conoscenza diretta delle tecniche marittime e di passione per la ricerca storica, il saggio ripercorre lo sviluppo della Marina Mercantile delle Due Sicilie sin dall’inizio del Regno, considerandone tutti gli aspetti.
Il testo è corredato da 9 tabelle di dati sul tonnellaggio, il trasporto di merci, il numero di viaggi effettuati, le Compagnie di navigazione, le navi e le rotte servite, il confronto con le marinerie degli altri Stati europei e completato da un glossario dei termini tecnici e dall’excursus delle principali date.
Infine, come tutta la collana Le Sensiglie, il volume è arricchito da otto immagini a colori che riproducono celebri rappresentazioni artistiche e immagini d’epoca delle navi battenti la bandiera gigliata.
L’autore
Lucio Militano è nato a Napoli nel 1949. Ingegnere navale e meccanico, è stato dirigente in importanti imprese industriali. Attualmente è libero professionista nel settore della cantieristica navale e vive a Rimini. È anche un appassionato cultore di tecnologie ferroviarie ed è autore di Le ferrovie delle Due Sicilie (Editoriale Il Giglio, 2013).
Il brano scelto
«Ogni realtà – politica, industriale, economica, commerciale, culturale – che aspiri ad essere florida e correttamente impostata, deve essere congruente con l’identità e la specificità nazionale in cui si manifesta ed esiste.
Il punto non è dimostrare che la Marina Mercantile delle Due Sicilie fosse o meno la prima degli Stati preunitari per numero e tonnellaggio (e lo era), ma che questa realtà fosse espressione dell’identità del Regno e della sua gente.
I primati tecnologici dimostrano l’attenzione alle innovazioni che si stavano sviluppando, ma altri fattori erano di importanza capitale, come il ruolo della piccola marineria di cabotaggio, motivato dalla conformazione geografica del territorio e dalla grande estensione di coste con popolose città e paesi rivieraschi; la grande disponibilità di legnami pregiati, che rendeva conveniente l’utilizzo di questo materiale, ottimo peraltro per la componente velica d’altura; il numero elevatissimo di piccoli armatori, comandanti armatori, equipaggi armatori, marinai, pescatori, corallari che costituivano un’entità economica generatrice di ricchezza e benessere anche ai livelli più bassi.
Quanto all’abbondanza di imbarcazioni in legno, che alcuni ricercatori considerano segno di arretratezza tecnologica, basta consultare i testi di architettura navale della seconda metà del XIX e dell’inizio del XX secolo, nei quali ampi capitoli sono dedicati alle costruzioni in legno, alle relative tecnologie e agli aspetti ingegneristici, per dimostrare che esse perdurarono ben oltre il 1860. A tal proposito, è interessante osservare i disegni e le stampe dell’epoca che illustrano le fasi di costruzione di un clipper, in un cantiere americano intorno al 1850. Quel cantiere che costruiva le più veloci e capaci navi mercantili non era dissimile da quelli sparsi per il Regno delle Due Sicilie, che costruivano i brigantini ed i barchi. Simili anche a quelli che si trovavano, negli stessi anni, a Viareggio, Livorno, Genova, Trieste.
Non solo le navi mercantili del 1860 erano in legno, ma anche molte di quelle militari, per quanto in rapida diminuzione. Ad esempio, nella battaglia di Lissa, tra il neonato Regno d’Italia e l’Impero Austroungarico, la corazzata Re d’Italia, affondata per speronamento dalla Ferdinand Max (20 luglio 1866), aveva una corazzatura che terminava poco al di sotto della linea di galleggiamento, dove non vi era che lo scafo in legno. […]
La cantieristica – da quella maggiore, a Castellamare di Stabia e Palermo, ai cantieri semi industriali con strutture fisse, ai micro cantieri che, senza strutture fisse, costruivano sulle spiagge – ebbe modo di svilupparsi e consolidarsi, insieme alle competenze tecniche della navalmeccanica, dell’architettura navale, della propulsione a vapore e della tecnologia velica. La qualità dei bastimenti era il massimo che consentiva la tecnologia dell’epoca: un brigantino duosiciliano era una bella e solida nave, in nulla inferiore a quelle costruite a Viareggio, Genova, Trieste.
La politica dei Borbone, di equilibrio dosato fra momenti di protezionismo e di liberalismo, aveva generato un sistema di marineria autosufficiente, ben equilibrato, generatore di ricchezza senza costi per la collettività.
Triste notare come alcuni storiografi vedano in questa particolare struttura della marineria un segno di arretratezza, osservando che la Marina sarda aveva più vapori ed un tonnellaggio medio più alto. Oltre l’inesattezza dei dati (cfr. tabella 7), il paragone ha poco senso poiché il Regno sabaudo aveva un’estensione costiera che andava da La Spezia a Nizza (escludendo la Sardegna, gravemente trascurata da Torino) e politiche commerciali ed economiche diversissime dalle Due Sicilie. L’estensione delle coste del Regno borbonico, invece, era di migliaia di miglia, da Gaeta a S. Benedetto del Tronto, comprendendo anche la Sicilia, sempre fortemente integrata nella marineria duosiciliana.
Altra critica spesso mossa al Regno delle Due Sicilie è che il cabotaggio costiero si sviluppò anche a causa delle carenze della rete stradale per il trasporto terreste, senza però mai chiedersi se questo tipo di trasporto fosse poi davvero conveniente. Ancora oggi, le vie terrestri della Calabria e della costa ionica, per non parlare di quelle della Sicilia, sono insufficienti, poco affidabili e costosissime per la comunità. Per questo, da alcuni anni, con la formula delle “autostrade del mare”, si è ripreso con successo il trasporto di merci, persone e mezzi stradali con traghetti opportunamente attrezzati, fra Napoli e la Sicilia. I Borbone lo facevano già oltre 150 anni fa e comprendevano nel sistema di comunicazione anche la Calabria, la costa dello Ionio e dell’Adriatico.
Ancora una volta bisogna concludere che, anche nella marineria, lo sviluppo generale postunitario non ha seguito quella logica primaria di congruenza fra fattori di crescita e specifiche identità dei territori. L’immagine braudeliana dei molti bastimenti e dei porti diffusi, nei quali si scambiavano merci e culture, concretizzata nel Mezzogiorno marittimo al tempo dei Borbone, non era poi così sbagliata, visti i risultati attuali.»
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