(Lettera Napoletana) – Perché il sindaco di Napoli Luigi de Magistris ha approfittato della manifestazione organizzata a Napoli l’11 marzo dal segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, per scatenare una guerra ideologica e materiale (bilancio: danni per oltre 100mila euro al quartiere di Fuorigrotta, 28 agenti di polizia feriti, 3 arresti, 3 denunciati)?
La dipendenza dai cosiddetti Centri sociali, che lo sostengono e lo guidano, sono dentro il suo movimento “Dema” e parte della sua maggioranza in Consiglio comunale, è la prima ragione. Gli aderenti ai “Centri sociali” si dichiarano “marxisti-leninisti”, e sono imbevuti dello stesso odio ideologico dei loro predecessori degli anni ‘70 ed ‘80 contro gli avversari.
“Te la diamo noi una lezione, bastardo. Ti aspettiamo a Napoli l’11 marzo” aveva scritto su Facebook -rivolgendosi al segretario della Lega – Eleonora De Majo, uno dei capi del “Centro sociale” Insurgencia, eletta consigliere comunale con Dema (“la Repubblica-Napoli”, 14.03.17).
Per questi residui degli “anni di piombo”, contro il nemico ideologico e “di classe” termini come “reazionario”, “fascista”, “nazista”, “razzista”, slegati dal loro significato concreto, servono a demonizzare chi si oppone al pensiero unico dominante. Del quale i cosiddetti Centri sociali sono il braccio violento. Contro il nemico ideologico è ammesso tutto, insegna il leninismo, per il quale la morale è subordinata alle esigenze dell’azione.
Gli scontri e le devastazioni nel quartiere di Fuorigrotta, a qualche centinaio di metri dalla Mostra d’Oltremare dove Salvini parlava, erano annunciati e preparati. “Io mi schiero completamente dalla parte dei Centri sociali” aveva dichiarato De Magistris (“Il Mattino”, 08.03.17), definendo il segretario della Lega un “nazifascista”.
Se non c’è scappato il morto, se non ci sono state conseguenze ancora più gravi è stato solo per l’atteggiamento passivo delle Forze dell’Ordine, che si sono limitate a contenere i manifestanti. “Sono rimasti fermi per ore a prendersi le pietre, le bottiglie, gli insulti”, racconta a LN un giornalista presente.
De Magistris sapeva che aria tirava e all’ultimo momento ha rinunciato a partecipare al corteo dei cosiddetti Centri sociali, degenerato in gravi violenze. Ci ha mandato però la moglie, Teresa Dolce, che si è detta “stupita” per l’accaduto [«I “black block”? Potevano essere fermati prima che si infiltrassero», ha scritto su Facebook (“Corriere del Mezzogiorno” 13.03.17)].
La mobilitazione contro Salvini doveva essere il lancio del movimento che De Magistris ha costituito, insieme ai Centri sociali, collegato a “Podemos”, partito di estrema sinistra spagnolo, guidato da ex consiglieri del dittatore comunista venezuelano Hugo Chavez (cfr. LN 86/15 “Spagna: Podemos, i nostalgici della ghigliottina”) ed all’ex ministro del Governo Tsipras, in Grecia, Yannis Varoufakis.
Ma un partito del genere, con un leader improbabile come De Magistris, trasformatosi da pm abituato ad arrestare senza prove, a teorico della distinzione tra “legalità formale” e “legalità sostanziale”, è destinato a raccogliere solo i voti di una minoranza ideologizzata e fanatica.
Ecco perché De Magistris insieme ai cosiddetti Centri sociali gioca la carta del “meridionalismo” e tenta di trasformare Salvini nel “nemico esterno”, e nel responsabile del sottosviluppo economico del Sud e del degrado amministrativo di Napoli.
Ma Salvini (che a Milano frequentava da giovane il Centro sociale Leoncavallo e presentò una lista denominata “Comunisti Padani” al parlamento della Lega) non è mai stato al Governo, e la Lega, un partito che non ha mai superato il 12% alle elezioni, ne è fuori dal 2011. De Magistris, invece, guida Napoli da sei anni con i risultati che tutti possono constatare.
“Rovina e desolazione “, così Marta Herling, nipote di Benedetto Croce, non certamente una neo-borbonica, descrive lo stato della Villa Comunale di Napoli, l’ex Real Passeggio di Chiaia, distrutta dalla giunta De Magistris con le inutili e costose regate dell’America’s Cup di Vela del 2013. «Un libro bianco dovrà oramai essere scritto sulla Villa Comunale di Napoli per portarla all’attenzione nazionale ed internazionale»(“la Repubblica- Napoli” 24.03.2017).
Per raccogliere voti in area meridionalista e neoborbonica con un’operazione di marketing politico De Magistris, mentre rifiuta una strada a Re Ferdinando II (ma l’ha intitolata a Berlinguer, a Mandela, a Panagulis e perfino a John Lennon), organizza un’operazione di puro impatto mediatico come la “revoca della cittadinanza onoraria” al generale piemontese Enrico Cialdini, il massacratore di Gaeta.
In realtà il Consiglio Comunale di Napoli ha approvato un semplice ordine del giorno (non una delibera) nel quale si chiede alla giunta di “verificare la possibilità, alla luce della normativa vigente, di revocare la cittadinanza onoraria al generale Enrico Cialdini” (“Il Mattino”, 20.03.2017).
Che Cialdini fosse cittadino onorario, i Napoletani neanche lo sapevano. Ammesso che la revoca sia possibile, non avrebbe alcuna ricaduta concreta. Altra cosa sarebbe l’intitolazione di una piazza a Ferdinando II di Borbone o un monumento per Francesco II: sarebbe un tassello del mosaico della memoria storica ricostruito.
Ma questo non è ideologicamente corretto per i marxisti-leninisti dei “Centri sociali” che sostengono De Magistris. Per uno dei loro teorici, Antonio Gramsci, quella borbonica era una monarchia reazionaria “arretrata”, “folkloristica e provinciale” (cfr. Gramsci, “La questione meridionale”, Liberlibri, Roma 2008, p. 4 ; “Quaderni dal Carcere”, 14 (I) § 7). Meglio quindi rispolverare una sconosciuta cittadinanza onoraria.
E mentre i cosiddetti Centri sociali manifestavano contro Salvini sventolando le bandiere dell’Unione Sovietica (che dichiarano di rimpiangere) e di Cuba, qualche altro “meridionalista” provava a lanciare come leader per il Sud il presidente della giunta regionale della Puglia, Michele Emiliano, candidato alla segreteria del Pd.
“No a battaglie neoborboniche”, dichiarò il “meridionalista” Emiliano appena eletto (“Il Mattino”, 03.06.2015). Magistrato passato alla politica senza mai dimettersi per non perdere neanche uno scatto di anzianità, mentre percepisce lo stipendio di politico, consumato navigatore tra le correnti del Pd, da D’Alema (che da magistrato aveva indagato) a Renzi, poi schierato con gli scissionisti anti-renziani, Emiliano è uno dei maggiori esponenti del trasformismo politico meridionale, un maestro del gioco delle tre carte. Quando già aveva annunciato l’uscita dal Pd, il 21 febbraio ha fatto macchina indietro, candidandosi alla segreteria del Pd.
“Comprereste un’auto usata da quest’uomo?”, chiedono negli USA per giudicare un politico. Ecco, da Emiliano sarebbe pericoloso comprare anche un chilo di “cozze pelose”, specialità barese che ben conosce.
“Mai con Salvini”, come gridavano i teppisti di De Magistris? Mai con politici che non hanno una cultura con radici saldamente piantate nella storia e nella Tradizione del Sud, anche se il programma della Lega con lo stop all’immigrazionismo selvaggio, che punta a dissolvere tutte le identità, la flat-tax per le imprese ed il recupero di sovranità su moneta e frontiere, è il meno dannoso per il Sud. Mai con i comunisti, mai con i trasformisti. E con i furbini ed i furboni che li appoggiano. (LN 110/17)