La recente decisione del presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, di emettere un bando di concorso per assumere due ginecologi per l’Ospedale San Camillo di Roma, ha scatenato numerose polemiche a causa del requisito specificamente richiesto ai medici: essere disposti a praticare aborti e garantire di rimanerlo in seguito.

Il provvedimento, che è in contrasto con la stessa legge 194 e pone un grave limite alla libertà personale dei medici, sarebbe motivato dal numero eccessivo di obiettori di coscienza che limiterebbe la possibilità delle donne di fruire del servizio di interruzione volontaria della gravidanza (IVG) con gravissime conseguenze psicologiche e sociali.

Questa è la classica fakenotice, una notizia totalmente falsa che viene assunta per vera perché propagandata dai media e che, addirittura, finisce per produrre effetti giuridici.

Sfatiamo il mito.

NON è assolutamente vero che l’accesso all’aborto sia limitato da un numero troppo alto di medici obiettori di coscienza e ce ne dà la certezza l’ultima Relazione annuale del Ministro della Sanità sull’applicazione della legge 194*, pubblicata a dicembre 2016, che raccoglie i dati definitivi 2014 inviati dalle Regioni.

Leggendo la relazione e le dettagliatissime tabelle allegate, si scopre che:

– su 654 reparti di ostetricia e ginecologia, 390 sono attrezzati per la pratica dell’aborto, cioè circa il 60%;

l’86% degli aborti viene effettuato nella provincia di residenza della donna e il 91% nell’ambito della regione di appartenenza.

Se si considera che per mancanza di reparti maternità, le madri devono allontanarsi chilometri da casa per partorire, perché dovrebbe essere diverso per abortire? Buona parte dei casi di sconfinamento in altre regioni, inoltre, è attribuibile anche alla mobilità, per esempio all’emigrazione precaria, che porta molte donne a lavorare e vivere per periodi limitati in una regione che non è quella dove conservano la residenza;

– i tempi di attesa tra la richiesta di aborto e l’operazione sono diminuiti, attestandosi a meno di 14  giorni;

– i ginecologi obiettori di coscienza sono il 70,7%, gli anestesisti il 48,4% il personale paramedico il 45,8%. Vale a dire che il 30% circa dei medici ospedalieri è disposto a praticare gli aborti, cifra persino eccedente la necessità visto che le richieste di aborto sono circa il 20% delle nascite (96.578 su 502.780);

l’11 % dei medici non obiettori presta servizio in strutture dove non si pratica l’IVG, il che fa pensare che non ci sia bisogno delle loro prestazioni oppure che i servizi siano organizzati male. Zingaretti avrebbe potuto spostare qualche unità al servizio IVG, se davvero ce ne fosse stato bisogno, cosa che la legge 194 prevede esplicitamente;

– ogni medico non obiettore ha in media un carico di lavoro di 1,6 aborti alla settimana,  ed un impegno orario che va da 45 minuti a meno di 2 ore (un aborto dura  da 3 a 10 minuti come attestato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità) per interventi che sono sempre programmati;

Questi i fatti reali al di là del mito propagandistico. Come spiegare, quindi, lo strano bando di Zingaretti e le periodiche polemiche contro l’obiezione di coscienza?

Diciamo che questo è uno dei temi preferiti dal mondo femminista e radicale, che da sempre ha spinto per cancellare del tutto la possibilità di opporsi all’aborto. Se non altro per coerenza.

In effetti non si può fare a meno di rilevare l’ipocrisia della legge 194 che non considera embrione e feto esseri umani viventi da tutelare, ma sancisce il diritto del medico, in scienza e coscienza, di essere convinto che invece lo siano e quindi di astenersi dal provocarne la morte.

Consentire l’obiezione di coscienza  crea una stridente dissonanza, che induce a pensare che l’embrione e il feto potrebbero persino avere diritto a vivere. Per questo le femministe l’hanno sempre avuta di mira.

Chi guida la polemica in corso asserisce che l’obiettore impedisce alla donna di fruire di un proprio “diritto”. E si scaglia come al solito contro i cattolici, perché dalle loro fila verrebbe la maggior parte dei medici obiettori.

Chiarito che non esiste il “diritto” all’aborto  – la legge 194 tuttalpiù ha legalizzato una pratica, non ha affermato un diritto – è giusto il caso di notare che ancora una volta le femministe mostrano il loro costituzionale strabismo, pretendendo per la donna la possibilità di una scelta personale che  il medico sarebbe invece obbligato a realizzare: per lui nessun diritto di scelta.

Infine, che l’obiezione di coscienza non sia una questione religiosa lo dicono i numeri stessi: il 70% dei ginecologi è un po’ troppo per pensare che siano tutti ferventi cattolici, dal momento che in Italia i praticanti sono solo il 20% della popolazione.

La vera ragione della scelta di tanti operatori sanitari è che la pratica operatoria li mette a confronto con la realtà dell’aborto e gli fa toccare con mano, letteralmente, l’orrore di spezzare, letteralmente, la vita di un bambino, del più piccolo e indifeso degli esseri umani. Nessuno può resistere a lungo dovendo osservare da vicino gli effetti dell’aspiratore sul corpicino di un bambino di 8-10 settimane.

Sono numerose le testimonianze di medici abortisti, anche atei, passati all’obiezione di coscienza quando si sono resi conto che l’esposizione continua ad una pratica di morte li stava disumanizzando.

Concludendo, il bando per il San Camillo si fonda su motivi pretestuosi, smentiti dai dati reali e sostenuti esclusivamente dalla propaganda femminista. Si tratta di un grimaldello, una forzatura ideologica che ha lo scopo di suscitare allarme intorno ad un falso problema, per convincere l’opinione pubblica che sia arrivato il momento per spingere più in alto l’asticella ed eliminare la possibilità di dissentire.

Per ora basterà eliminare la possibilità per il personale sanitario di obiettare, magari discriminando chi lo fa. Il passaggio successivo sarà vietare qualsiasi forma di dissenso sull’aborto, mettendo fuorilegge le associazioni prolife, i siti che si occupano di difesa della vita e i gruppi di preghiera che abbiano la balzana idea di radunarsi davanti agli ospedali dove si eseguono gli aborti.

Vi sembra allarmistico? La Francia, che è un po’ più avanti di noi, ha appena approvato (16/02/2017) una legge che estende ai siti internet prolife il reato “di ostacolo all’interruzione volontaria di gravidanza”, che prevede una pena di 2 anni di carcere e 30mila euro di multa per chi esprime la propria opposizione all’aborto scrivendo e pubblicando articoli sul web.

Intelligenti pauca!

 

* Tutte le statistiche e i dati contenuti nell’articolo sono presi dalla “Relazione del Ministro della Salute sull’attuazione Legge contenente norme sulla tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza (194/78) – Dati definitivi 2014 e 2015, pubblicata il 07/12/2016, che può essere scaricata qui.

25.02.2017