(Lettera Napoletana) Esce a giorni per l’Editoriale Il Giglio una nuova edizione di “I Napolitani al cospetto delle Nazioni Civili”, di Giacinto de’ Sivo. Una edizione completa dell’opuscolo del grande storico di Maddaloni mancava dagli anni ’60. La nuova edizione, curata da Carmela Maria Spadaro, docente all’Università Federico II, è arricchita dall’Elogio di Ferdinando Nunziante, che de’ Sivo scrisse per il valoroso generale borbonico.
“I Napolitani al cospetto delle Nazioni civili” fu pubblicato a Roma, dove il grande storico delle Due Sicilie era stato costretto a trasferirsi in esilio, nel dicembre 1861 ed a Livorno. A Napoli, dove de’ Sivo era stato arrestato due volte dalla Polizia del nuovo Stato unitario, ed incriminato per “cospirazione contro l’Italia”, circolò clandestinamente in più edizioni.
Il libro è un formidabile atto di accusa verso il Piemonte, invasore del Regno delle Due Sicilie, che “non era secondo a nessuna Nazione incivilita” ed una lucida confutazione delle tesi liberali poste a fondamento dell’unificazione dell’Italia.
“L’Italia non fu una come Inghilterra, Spagna e Francia perché Iddio la creò svariata, la fe’ lunga e smilza, e rotta da’ fiumi e da montagne; la popolò di stirpi diverse d’indoli, di bisogni, di costumanze (….) Non si può per una nazionalità ideale, distruggere le nazionalità reali”.
È un passaggio fondamentale della requisitoria di de’ Sivo. La “Nazione” italiana è un’astrazione fondata sul quel principio di nazionalità teorizzato dal liberale Pasquale Stanislao Mancini (1817-1888). Il “principio di nazionalità” sostituisce al concetto tradizionale di Nazione come eredità di cultura la Nazione come “coscienza”, un concetto ideologico al quale si decide di aderire.
Con le armi piemontesi e la complicità di Inghilterra e Francia, dopo il lavorìo svolto per decenni dalle sette, la “Nazione italiana”, un’astrazione ideologica, fu sovrapposta alle Nazioni ed ai popoli reali dell’Italia. È “l’opera della rivoluzione in nome di una nazione fittizia”, scrive de’ Sivo.
“I Napolitani al cospetto delle Nazioni Civili” è un’opera di respiro europeo. L’autore comprende bene che l’aggressione piemontese al Regno delle Due Sicilie è parte di un attacco internazionale non solo al trono dei Borbone di Napoli, ma ai valori che lo avevano fondato e che la Chiesa cattolica è il bersaglio ultimo di quest’attacco.
Anche una parte della corte di Re Francesco II, dei componenti del suo governo in esilio, che pure nutrivano sentimenti di lealtà nei confronti della dinastia, continuava a sperare nella mediazione diplomatica e ad illudersi sull’atteggiamento delle grandi potenze. Le idee del liberalismo avevano conquistato anche una parte dei consiglieri dell’ultimo Re delle Due Sicilie. Per essi l’intransigenza di de’ Sivo – che invece aveva ricevuto da Francesco II un giudizio entusiasta e la promessa di un aiuto economico per la pubblicazione della sua fondamentale Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861 – era intollerabile e non nascondevano la propria ostilità per il coraggioso storico di Maddaloni.
Alla protesta per l’invasione piemontese de’ Sivo aggiunge infatti la denuncia dei “traditori intorno al trono” e le amare verità sugli errori del governo borbonico che, “intento a fare il bene”, aveva però rinunciato a contrastare la propaganda liberale, quella stessa propaganda che lo aveva presentato al mondo come “la negazione di Dio” .
Giacinto de’ Sivo (Maddaloni 1814 – Roma 1864) è un esempio limpidissimo di coerenza, il combattente di una battaglia intellettuale concepita come una missione che trascende la vita stessa, a memoria delle generazioni future. “Li ho infamati per l’eternità, perché la mia storia si leggerà finché dura il mondo”, ripeteva. Il tempo gli ha dato ragione. (LN97/16).