(Lettera Napoletana) «Nel 1828 le strade del Regno delle Due Sicilie raggiungevano le 1.505 miglia e nel 1855 esse erano diventate 4.587. Lungi dal lasciare le popolazioni nell’isolamento, i Borbone (Ferdinando II in primis) si preoccuparono, invece di favorirne gli spostamenti lungo il territorio del Regno e fuori di esso».
Le strade ed i trasporti nelle Calabrie al tempo dei Borbone sono l’argomento di un articolo della studiosa Carmela Maria Spadaro, docente di storia del diritto all’Università Federico II, sul quotidiano on-line “Corriere Locride” (28.9.2015)
In Calabria, una regione oggi duramente penalizzata nella rete stradale e nel trasporto ferroviario ed aereo «già con Carlo e poi con Ferdinando IV – scrive la studiosa – si provvide alla manutenzione e riattamento della regia strada per Roma, all’ampliamento in più punti della strada delle Puglie. Furono ripresi i lavori della regia strada delle Calabrie, di età viceregnale, rendendola carrozzabile fino alla piana del Sele e si ultimò il tratto che da questa portava verso Potenza e Matera».
«Con il regno di Ferdinando II la viabilità fu notevolmente accresciuta e migliorata, passando dalle 1.505 miglia del 1828 alle 4.587 del 1858. E non si trattava certo di strade secondarie, né di opere precarie, nonostante l’asprezza del territorio (l’Amalfitana, la Sorrentina, la strada di Sora, l’Appulo-Sannitica, l’Aquilonia che apriva al commercio il Molise e congiungeva in tempi più brevi il Tirreno con l’Adriatico, la Sannitica che arrivava fino a Termoli attraverso Campobasso).
(…) «Restando ancora isolati tra loro i distretti di Palmi e di Gerace – prosegue l’articolo – ci si preoccupò sempre intorno agli anni 30-40 dell’Ottocento, di dare avvio alla costruzione di un’altra strada che, attraversando l’impervio Aspromonte, mettesse in collegamento gli abitanti dello Jonio con quelli del Tirreno ed ovviasse così ai disagi e pericoli nascenti dal dover attraversare a piedi la montagna. L’opera era definita “malagevole”, a causa dell’eccessiva montuosità del territorio, tant’è che nel 1859 non era stata ancora completata, tuttavia i lavori non si erano mai arrestati ed in breve anch’essa fu terminata: così la Calabria jonica fu messa in collegamento, a partire da Gerace, con quella tirrenica, già servita da strade costruite negli anni precedenti e successivamente ampliate e migliorate».
«Un altro mito negativo, da sfatare, è quello della mancanza di strade ferrate. Certo, nel 1860 la rete non era stata completata, ma non si può certo dire che si limitasse al tratto inaugurale della Napoli-Portici.
Alcune tratte erano state realizzate nel decennio successivo e furono completate prima della fine del Regno, ma soprattutto erano state progettate ed in fase di realizzazione “tre lunghe linee sul continente da unire l’Adriatico col Tirreno e lo Jonio: una per Foggia, Brindisi, Lecce; una per Basilicata e Reggio; l’altra per Abbruzzo e Tronto. E tre in Sicilia: da Palermo a Catania, altra a Messina e l’ultima per Girgenti e Terranova” (cfr. Francesco Durelli, Cenno storico di Ferdinando II Re del Regno delle Due Sicilie, Napoli 1859).
Era un sistema “a raggiera”, che collegava centro e periferie, mettendo in comunicazione i paesi dell’entroterra con quelli costieri. L’Unità d’Italia bloccò questo progetto, privilegiando uno sviluppo “verticale”, Nord-Sud, funzionale allo spostamento di uomini e mezzi (specialmente macchinari industriali e manodopera qualificata) verso le nascenti industrie del Nord e condannando all’isolamento intere popolazioni (è questo il modello che tuttora condiziona la mobilità nel nostro territorio). Forse non è inopportuno ricordare che nel 1860 le strade ferrate piemontesi superavano di solo 45 km quelle già in esercizio nel Regno di Napoli e che quelle in fase di realizzazione o progettate furono bloccate nel 1861, mentre il Piemonte avviò dopo questa data un deciso ampliamento delle proprie”. (LN92/15).