L’embrione è il più piccolo e indifeso degli esseri umani          

La gestazione è l’inizio del processo di sviluppo naturale di ogni essere umano. Tale sviluppo costituisce un continuum connotato dall’ininterrotto cambiamento, per l’intero arco dell’esistenza.

L’embrione e il feto rappresentano le prime fasi di questo sviluppo: la loro appartenenza alla specie umana è indiscutibile e non è influenzata dall’età, dalle dimensioni, dall’aspetto o dall’autonomia.

La sua esistenza inizia con il concepimento      

Dal momento del concepimento prendono avvio rapidissimi processi biologici che, nel giro di poche ore (12 circa), generano il codice genetico (DNA) del nuovo essere umano. Il DNA è unico, individuale, irripetibile e identifica perfettamente ciascun essere vivente.

È, quindi, corretto affermare che la vita ha inizio con il concepimento e che da quel momento siamo in presenza di un nuovo essere umano, la cui individualità è distinta da quella della madre che lo porta in grembo.

L’aborto lo uccide

Ogni azione abortiva, eseguita con mezzi chimici o chirurgici, interrompe il naturale processo di sviluppo iniziato con il concepimento.

Non importa quanto precoce possa essere questa azione, o se essa appaia più o meno cruenta: il risultato è sempre la morte di un essere umano innocente e indifeso.

Il “diritto” di abortire non ha fondamento

Tra madre e figlio non vi è un rapporto di antagonismo né di subalternità: si tratta di due esseri umani viventi, di pari dignità.

Il diritto alla vita del figlio è evidente sul piano naturale ed etico.

Dal punto di vista giuridico, si tratta di un diritto oggettivo (è evidente in sé: o si è vivi o non lo si è; è preesistente alla legge, non una sua attribuzione); è primario, vale a dire che da esso derivano i diritti secondari di cui chiunque può godere (per es. il diritto di voto o il diritto di contrarre matrimonio); è inalienabile (non può essere ceduto ad altri, neppure per volontà del “titolare”).

Non trova fondamento, invece, un preteso “diritto all’aborto”, che sbilancia gravemente il rapporto tra due pari, madre e figlio, a danno esclusivamente di quest’ultimo. 

Per ciascun essere umano, in ogni fase dell’esistenza, il diritto a conservare la propria vita è prioritario rispetto a qualsiasi altro diritto o libertà sanciti dalla legge e deve essere tutelato come bene fondamentale e prevalente.

Nessun motivo giustifica la soppressione di un essere umano innocente

Indipendentemente dalle circostanze del concepimento, dal tempo trascorso o dalle condizioni di salute del concepito, la sua soppressione volontaria non trova giustificazione.

La sua dipendenza dal grembo materno non lo pone in stato di inferiorità rispetto alla madre, né riconosce ad essa una condizione di preminenza.

Del resto, il bambino è l’unico “cucciolo”, a differenza di quelli di altre specie, che necessita totalmente di cure per molti anni dopo la nascita, prima di raggiungere la capacità di sopravvivere autonomamente. Al bambino la legge riserva una particolare e severa protezione proprio a causa dello stato di non autonomia in cui si trova.

La tutela di cui gode il bambino già nato deve essere estesa al periodo di vita intrauterina, trattandosi dello stesso essere umano.

L’aborto produce la “cultura della morte”        

L’aborto praticato stronca la vita del figlio ma compromette anche quella della madre, lasciandole una ferita profonda e insanabile, consapevole o meno che sia.

Esso lacera il più stretto legame naturale che unisca due esseri viventi; trasforma in profondità anche i legami sociali che gli individui tessono proprio in virtù di quel primo vincolo, come la famiglia e ogni tipo di comunità naturale; instaura un modello antropologico anti-umano fondato sul rovesciamento delle relazioni.

«Oggi il più grande distruttore di pace è l’aborto, perché è una guerra diretta, una diretta uccisione, un diretto omicidio per mano della madre stessa. […] Perché se una madre può uccidere il suo proprio figlio, cosa impedisce a me di uccidere te e a te di uccidere me?» (S. Teresa di Calcutta, Discorso per la consegna del premio Nobel per la pace, 11.12.1979).