Lucida ed approfondita analisi dell’azione politica e delle strategie adoperate dal Partito Radicale, pubblicata sul numero di marzo 2005 della rivista mensile Il Timone, a firma di Mario Palmaro (1968-2014), che è stato docente presso la Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e collaboratore alla cattedra di Filosofia del Diritto dell’Università di Padova.
Il male radicale
di Mario Palmaro
«Lo Stato del Vaticano ha significato l’uso dell’aspersorio per benedire il manganello. Il manganello contro la scienza, la coscienza, la democrazia, la tolleranza. Il manganello, se non peggio, contro le vite di milioni di persone contro la Vita, con la v maiuscola. Lo Stato Città del Vaticano va cancellato con procedure di diritto, legali, giuridiche, popolari, democratiche, in tutto il mondo». Non c’è che dire: un bel progetto politico all’insegna della tolleranza e della non violenza. Correva il 27 novembre del 2000 – dunque era l’anno del grande Giubileo – quando Marco Pannella, leader storico dei radicali, affidava alle agenzie di stampa questo farneticante comunicato. Attenzione: non una sortita isolata ma l’ennesima provocazione di un personaggio e di un movimento politico sempre uguale a sé stesso, coerentemente schierato sulle medesime posizioni. In un’epoca in cui l’uomo medio – sia esso un cittadino tranquillo o un importante leader politico – soffre di amnesia cronica, non guasterà rinfrescarsi la memoria e riflettere insieme sul “patrimonio” storico del fenomeno radicale, in Italia e nel mondo.
Un’azione politica devastante
Ma chi sono veramente i radicali? Per valutare il fenomeno, partiamo dai fatti: politici e intellettuali radicali rappresentano una piccola pattuglia di agguerriti combattenti che, nell’arco di mezzo secolo, sono riusciti a imprimere una svolta decisiva al costume del nostro Paese.
In Italia, il partito radicale nasce a Roma nel 1955, da una costola del Partito Liberale. Vi confluiscono ex-azionisti, collaboratori del “Mondo”, intellettuali e giornalisti dell’area laica e della sinistra liberale: Mario Pannunzio, Ernesto Rossi, Leo Valiani, Marco Pannella, Eugenio Scalfari. Fin dall’inizio, il gruppo dimostra una diversità evidente rispetto alle altre forze politiche: sembra del tutto marginale per quantità di consensi e per mezzi a disposizione, quasi un’avventura intellettuale destinata a rimanere rinchiusa nei salotti e nei circoli più esclusivi. Ma non è così. A cinquant’anni esatti dalla nascita, il bilancio della cultura radicale è clamorosamente in attivo. Può vantare alcune vittorie evidenti – la legalizzazione del divorzio e dell’aborto – e cimentarsi con fiducia in altre campagne di lunga durata dall’esito ancora incerto: le droghe libere e l’eutanasia fai-da-te. Ma il successo più importante è quello che si vede di meno: la trasformazione progressiva della cultura dominante, del senso comune, dei criteri di giudizio dell’uomo della strada.
Che in genere non vota radicale e non ama gli eccessi dei suoi istrionici protagonisti; ma che assumendo a piccole dosi il veleno distillato dal nichilismo libertario, intossica la propria coscienza e si ritrova trasformato senza nemmeno rendersene conto. Oggi i punti fondamentali dell’ideologia radicale sono assunti pacificamente come programma politico dei partiti post comunisti – giustamente ridefiniti “partiti radicali di massa” – ma hanno attecchito anche in significative fette della cultura liberale moderata.
La strategia dei radicali
I personaggi carismatici di questo movimento sono stati capaci di inserirsi in tutti gli snodi cruciali della nostra storia recente, tanto che spesso la documentazione fotografica che la correda ha per protagonisti i volti di Marco Pannella e di Emma Bonino. Dal dibattito sul divorzio al referendum abrogativo promosso da Gabrio Lombardi; dalla campagna per l’aborto libero al referendum del 1981; dallo spaccio in diretta Tv di droghe ai reiterati scioperi della fame e della sete: i radicali hanno saputo prendersi tutta la luce dei riflettori, scandalizzando l’opinione pubblica, e conducendola dalla reazione infastidita alla progressiva accettazione delle idee libertarie e antiproibizioniste. I radicali utilizzano con grande maestria alcune tecniche di combattimento. Vediamo le principali.
a. In medio stat malus. I radicali si collocano sistematicamente nel punto più estremo di un dibattito, per creare uno sbilanciamento della situazione e far cadere l’opinione pubblica in un effetto ottico distorsivo. Un esempio per capirci: in una società che ripudia l’aborto vietandolo per legge, i radicali ne invocano la totale liberalizzazione. A quel punto, le forze politiche tradizionali si mobilitano per affermare che il fenomeno “va regolamentato” e consentito “solo in certi casi”. La gente vede così davanti a sé due estremismi – no all’aborto sempre/sì all’aborto sempre – e conclude che la posizione mediana – sì all’aborto in certi casi – sia quella saggia. È un modello che può essere ripetuto infinite volte, spostando a ogni passo la posizione “moderata” sempre più verso l’obiettivo finale dei radicali: la totale rimozione della percezione del bene e del male nella società.
b. La provocazione come stile di vita. I radicali usano candidare personaggi eccentrici. Non soltanto per attirare l’attenzione dei mass media, ma soprattutto per rendere normale ciò che è anormale. La pornostar in parlamento serve a “sdoganare” un fenomeno imbarazzante, a superare ogni vergogna e ogni pudore, a rimescolare le categorie del bene e del male in un colossale calderone dialettico dove la verità scompare nel vortice della provocazione più sguaiata e dissacrante.
c. Il disprezzo per l’ordine costituito. I radicali ricorrono frequentemente alla violazione plateale della legge, per forzare la mano del legislatore e instillare nell’uomo della strada una nuova idea di diritto: si deve rendere lecito ciò che accade nella prassi. Per cui sono le medie statistiche e le condotte – anche di sparute minoranze – a determinare ciò che lo Stato deve o non deve permettere.
d. La capacità di affascinare gli avversari. I radicali sono l’unica forza politica che ottiene sempre e comunque l’onore delle armi. Anche coloro che si dichiarano in disaccordo con Pannella & C. ammettono sempre che, sì, siamo di fronte a uomini che combattono per ragioni ideali di alto valore morale. In questo modo, le istanze radicali sono avvolte da un alone di rispettabilità che le rafforza e le porta ad affermarsi nel lungo periodo. Gli appelli a por fine ai digiuni del guru radicale sono piccoli trionfi dell’ipocrisia generale, che tuttavia rafforzano l’autorevolezza mediatica del personaggio, percepito dalla gente come un martire laico senza macchia, vittima del sistema partitocratico corrotto.
I contenuti dell’ideologia radicale
Tanta astuzia sul piano strategico serve allo scopo di veicolare una serie di contenuti ben precisi, riassumibili nell’idea assai demagogica che “è vietato vietare”, rivestita però dei panni rispettabili di una borghesia operosa e onesta, che chiede solo di non essere disturbata da fastidiose istanze morali e religiose. Ecco una sintesi del “manifesto” radicale:
a. La scelta è già etica. Non conta il contenuto dell’azione, ma è sufficiente garantire al singolo di scegliere liberamente che cosa fare. Il bene e il male diventano opinioni, gli assoluti morali scompaiono.
b. Diritto e morale non hanno nulla in comune. Dunque, le leggi degli Stati sono ispirate al più grigio positivismo giuridico. Le democrazie sono ridotte a procedure, a regolamenti di condominio nazionale.
c. Politeismo morale. Ogni sistema morale è parimenti valido. E, dunque, nessuno può pretendere di essere vero e giusto per disciplinare le relazioni tra i consociati.
d. Ostilità dichiarata verso la Chiesa. Il cattolicesimo è il nemico da battere, proprio perché afferma la connessione inscindibile tra vita e fede, tra singolo e società.
e. Individualismo nichilista. Ogni singolo è un’isola, occupa una sfera chiusa dentro la quale ognuno può fare ciò che gli aggrada.
f. Fare la rivoluzione nel cuore dell’uomo. Questo è, di tutti gli aspetti della cultura radicale, il più diabolico. Pur nascendo a sinistra – si apostrofano tra loro con l’appellativo di “compagni” – i radicali non sono marxisti. A differenza del pensiero comunista, i radicali portano l’azione rivoluzionaria nel cuore di ogni singolo uomo. È conquistando il suo territorio più intimo, solleticando la sua concupiscenza, separandolo dalle agenzie educative (la famiglia su tutte) e dal Magistero della Chiesa che i radicali intendono condurlo lontano dalla verità e da Dio. Per portarlo in un mondo agghiacciante, dove – come nel Paese dei balocchi di Collodi – si fa ciò che si vuole e non esistono né maestri, né doveri, né sanzioni. Ma dove ogni uomo è disperatamente solo con la sua miseria.