(Lettera Napoletana) Le elezioni regionali del 31 maggio in 7 Regioni italiane hanno confermato la tendenza al rifiuto dell’attuale classe politica (di governo e di opposizione) da parte dell’elettorato. Al Sud, dove si è votato in Campania e Puglia, il rifiuto ha assunto proporzioni clamorose. In Campania ha votato solo il 51.9% degli aventi diritto, in Puglia il 51,1. A Napoli i votanti sono stati appena il 40,6%, con un ulteriore calo del 13,5 rispetto alle precedenti elezioni. In Puglia, l’affluenza a Foggia e Taranto è scesa sotto il 50%.
È questo il dato macroscopico dal quale partire per ogni analisi. Il Paese politico, però, non se n’è accorto e continua a parlare di percentuali – gonfiate dalle astensioni – contendendosi i consensi di quelli che a votare ci vanno ancora, motivati spesso molto più da interessi materiali che da idee e programmi.
Così in Campania ed in Puglia vincono due politicanti capaci di imbrancare verso il voto tali interessi, Vincenzo De Luca e Michele Emiliano, entrambi del Pd. Il primo proveniente dal Pdi-Pds, il secondo ex magistrato passato da tempo in politica ed ex segretario regionale del Pd, con una vernice “meridionalista”.
In entrambi i casi si è assistito ad una riedizione del trasformismo politico. De Luca ha addirittura imbarcato l’ex nemico democristiano Ciriaco De Mita a poche settimane dal voto ed ha riempito le liste di ex di Forza Italia e perfino di consiglieri de “La Destra” di Storace. Con questa aggregazione eterogenea è riuscito a battere l’avversario di centrodestra Stefano Caldoro, che aveva ereditato il disastro politico e finanziario di Antonio Bassolino (due miliardi di sforamento del bilancio regionale).
Difficile individuare differenze tra i due schieramenti in termini di idee, valori e principi. Prigioniero del “politically correct”, Caldoro non si è preoccupato di andare a rimotivare la marea di astensionisti ma solo di mettersi sotto le ali protettrici dei professionisti dell’antimafia, dei teorici della legge Severino e delle liste di “impresentabili” annunciate da Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare antimafia nell’ambito di una faida interna del Pd. Temi che al Paese reale non interessano affatto, come ha dimostrato il successo in termini di voti raccolto dai cosiddetti “impresentabili”. Paradossalmente, De Luca, che è sulla scena politica da 30 anni, è apparso come il candidato contro l’establishment politico-giudiziario e ne ha tratto vantaggio.
In Campania la protesta più connotata ideologicamente si è diretta verso il “Movimento 5 Stelle”, il cui candidato alla presidenza, una dipendente di Equitalia, agenzia della quale M5S chiede formalmente l’abolizione, ha sfiorato il 18% .
Nessuna meraviglia suscita il risultato modestissimo (0,75%) di “Mo’ ”, guidata dal giornalista Marco Esposito, che si presentava come “lista civica meridionalista”.Una lista civica raccoglie, su base non ideologica ma di rappresentanza di interessi reali, le categorie, gli ordini professionali, le imprese. La lista di Esposito, ex assessore di Luigi De Magistris ed ex esponente di “Italia dei Valori”, già sostenitore di Vincenzo De Luca nel 2010, raccoglieva – oltre a qualche ingenuo – come LN ha segnalato (cfr. Sud: le liste patacca dei falsi meridionalisti, LN84/15) attivisti politici ed agitatori professionisti. Un personale politico di estrema sinistra, che voleva pescare nel mercato elettorale meridionalista. La sua campagna elettorale è stata centrata sullo slogan “no al federalismo, voluto dalla Lega ed attuato dal Pd”. Un inganno, perché il federalismo non è stato attuato. Se lo fosse, sarebbe probabilmente utile al Sud nella misura in cui potrebbe spezzare il legame tra politici locali e partiti centrali e metterebbe i primi di fronte a coloro che dovrebbero rappresentare.
In ogni caso il sottosviluppo economico del Sud non è imputabile alla Lega, partito nato alle fine degli anni ‘80, ma all’unificazione e, in tempi più recenti, allo sciagurato “intervento straordinario nel Mezzogiorno”, statalista e centralista, appaltato alle grandi imprese del Nord, che Esposito ed i “meridionalisti” del Banco di Napoli (controllato da Intesa-Sanpaolo) vogliono riproporre.
Esposito ha fatto sapere di non essere “mai stato marxista” . Ma i “testimonial” della sua campagna elettorale scrivono per “Il Manifesto” e salutano a pugno chiuso di fronte ai ritratti di Guevara, mentre lui stesso definisce il guerrigliero comunista “il più grande politico” (“Il Mattino” 23.5.2015) ed incrocia il logo di “Mo’ ” sulla pagina di Facebook con quello di “Podemos”, fondato da ex consiglieri del dittatore comunista venezuelano Hugo Chavez ( cfr. “Spagna: Podemos, i nostalgici della ghigliottina”, LN86/15).
Per rappresentare gli interessi del Sud la strada dei partiti è sbagliata. Altro discorso sarebbe quello di liste civiche vere, per difendere le tradizioni locali e ripartire dalla storia, dall’arte, dalla cultura. Ma tutto questo è estraneo alle categorie ideologiche di residui sessantottini, attivisti di sinistra e radical-chic, che hanno pensato di poter fare marketing politico sulla voglia dei meridionali di riprendersi il proprio passato. Non ci sono riusciti. E per quanti hanno a cuore la memoria ed il futuro dell’ex Regno delle Due Sicilie – che sono molti di più dello 0.75% raccolto da “Mo’ ”, queste elezioni non segnano alcuna sconfitta. Ripropongono solo la necessità di formare dei politici radicati nella nostra storia e nella nostra cultura, estranei alle fallimentari ideologie, liberalismo e marxismo, che hanno dominato il secolo scorso. (LN88/15)