L’articolo fu pubblicato sul numero di febbraio 1996 della rivista di attualità e cultura Appunti a firma di Marina Carrese.
La narrazione storica deve necessariamente far riferimento alle grandi linee, agli episodi salienti, ai personaggi di primo piano. I libri ricordano gli eroi, le grandi figure positive o negative che hanno lasciato la loro impronta in un’epoca, che hanno orientato il corso della civiltà con le loro gesta.
A ben guardare, però, la grande Storia è, in realtà, l’insieme di tanti piccoli fatti vissuti da tanti piccoli uomini. Spesso, ciò che guardato da vicino sembra essere insignificante, osservato da lontano nel tempo e nello spazio, vale a dire letto in riferimento ad un contesto storico, assume tutt’altro valore e dà la chiave di lettura per comprendere l’intero contesto. Bisogna, dunque, partire dalle grandi linee della Storia umana ma poi penetrare in profondità, fino a giungere alla storia degli uomini, per i quali hanno contano infinitamente di più i piccoli fatti dei quali sono stati protagonisti, i piccoli episodi di scarso rilievo che non hanno determinato vittorie o sconfitte, ma che hanno determinato la loro vita o la loro morte.
La Controrivoluzione vandeana è un esempio di episodio storico a lungo considerato secondario e, perciò, pressoché ignorato tra le grandi linee della Rivoluzione francese.
L’epopea vandeana si è persa per due secoli nelle nebbie che avvolgono gli episodi minori della storia, perché ebbe per protagonisti semplici contadini, per capi dei Generalissimi senza cannoni, per bandiera quella degli sconfitti.
Eppure quella piccola vicenda considerata marginale è stato uno dei momenti più alti della Tradizione europea, che è cristiana, monarchica e radicata nelle tante identità locali; la sua lettura, oggi, ci aiuta ad comprendere meglio il senso di avvenimenti che hanno marcato ben più di un secolo.
Proprio per questo, la sua memoria non è stata cancellata ed è riemersa lentamente, fino a recuperare il proprio valore nella narrazione storica. Si può, dunque, a questo punto, penetrare all’interno della Contro-rivoluzione vandeana e scoprire la controrivoluzione dei Vandeani, scoprire, cioè, gli episodi minori che le diedero vita e forma.
Come la storia della figlia del tamburino. Appena adolescente, la ragazza era andata in cerca del padre, che con altri paesani si era unito all’Armata Cristiana e Reale per difendere il proprio villaggio, attaccato dai Bleus, le truppe repubblicane. L’uomo era stato designato tamburino di quel “battaglione” di contadini: era un compito importante per dare unità all’azione e per avere un aspetto marziale di fronte ai nemici. La giovanetta arrivò sul campo dove si era svolta la battaglia, alle porte del villaggio: trovò il padre, colpito a morte. Accanto a lui, il piccolo tamburo abbandonato sul terreno. La ragazza lo raccolse e corse verso quel che restava della truppa controrivoluzionaria: bisognava ricompattarla, infonderle nuovo vigore con il suono del tamburo, come aveva fatto suo padre. Un drappello di repubblicani le si parò davanti all’improvviso; solo un attimo di esitazione, poi i Bleus non ebbero pietà: bambina o no, quella era un nemico. Un colpo di fucile colpì alla testa la giovane tamburina, che rimase sull’erba, senza sepoltura. La sua storia, però, non è stata dimenticata, anzi è divenuta uno dei momenti più toccanti della Cinéscénie, lo spettacolo del Puy du Fou che celebra la storia della Vandea.
Altro episodio che rivela il carattere dei vandeani e la loro forza interiore che nasceva dalla Fede è quello di Madame Saillant d’Epinatz. Vedova di un possidente appartenente alla piccola nobiltà, fu catturata insieme alle due giovani figlie, accusata di essere una pericolosa nemica della Rivoluzione. Un sommario e ridicolo processo ne decretò la condanna a morte, ma, si sa, i plotoni di esecuzione in quei giorni lavoravano a pieno ritmo e le tre donne dovettero attendere a lungo, prigioniere della soldataglia repubblicana. La maggiore delle figlie di madame Saillant, suscitò le sordide attenzioni di un soldato, il quale le diede ad intendere che avrebbe potuto salvarle la vita. La fanciulla non si lasciò convincere, seguendo l’esempio di dignità e di fede della madre. La lunga attesa e la paura, però, cominciarono a fiaccarne la resistenza; Madame Saillant si accorse dello stato d’animo della figlia e capì che avrebbe finito per cedere, perdendo così l’onore, la vita e, soprattutto, l’anima. Prese, allora, una decisione coraggiosa e terribile al tempo stesso: col poco che aveva con sé, pagò i soldati repubblicani perché eseguissero la condanna al più presto, fucilando prima le figlie e dopo lei stessa, per essere sicura che la sua presenza avrebbe tenuto salde le ragazze fino alla fine.
Sono piccole storie come queste che hanno costruito la Controrivoluzione vandeana, che l’hanno preparata e connotata. Probabilmente erano pochissimi i vandeani consapevoli della portata epocale delle loro battaglie, eppure furono decine di migliaia i contadini che combatterono e morirono per conservare la fede e la religione, perché trovarono impossibile non rimanere a se stessi.
Così fu per i Martiri di Angers, proclamati beati nel 1984 dal Papa Giovanni Paolo II. Oltre duemila uomini, donne e bambini delle colline a sud della Loira, che tra il 12 e il 16 gennaio 1794 furono uccisi in vere e proprie esecuzioni di massa. Prelevati dalle sei prigioni rivoluzionarie di Angers, legati due a due, furono condotti in un campo alle porte della città. Lungo il cammino recitavano il rosario e questa infatti era la loro colpa agli occhi dei commissari repubblicani, come si legge nei documenti di arresto: “fanatico”, cioè credente. I prigionieri, sempre legati, furono fatti inginocchiare sul bordo delle 12 fosse che erano state scavate e furono fucilati. I corpi dei feriti trascinarono giù gli illesi; grida di dolore e di orrore si levavano dalle fosse, ma i soldati le fecero tacere a colpi di baionetta e di picca; poi le fosse furono ricoperte, seppellendo vivi e morti.
Un atroce rituale ripetuto identico ovunque la Rivoluzione abbia preso il potere: a Katyn, nei campi nazisti, in Istria, in Cambogia.
“Essere un fanatico” o “aver aiutato un prete refrattario” erano le accuse rivolte alla maggior parte dei vandeani fucilati, annegati nel fiume o bruciati vivi nelle chiese; era un reato possedere una corona del rosario o partecipare ad una Messa celebrata da un sacerdote che non avesse giurato fedeltà alla Costituzione.
L’odio per la religione fu la spinta maggiore della Rivoluzione e ancora oggi se ne percepisce la violenza nel poco che in Vandea si è salvato dalla devastazione, come nel castello di Coudray Montbault, che sorge al confine di tre diverse province, e che cadde più volte nelle mani dell’uno e dell’altro schieramento durante la guerra.
Fortificazione medioevale prima e poi dimora signorile, il castello è un delizioso esempio di architettura rinascimentale, con i tipici tetti neri di ardesia, per metà casa patrizia e per metà masseria di campagna. Nel XII secolo, i proprietari avevano donato una parte delle terre ad un vicino convento per fondare un priorato che fungesse da parrocchia per le tante famiglie contadine del circondario. Il priorato intitolato a San Giacomo, fu costruito poco distante dal castello; nella cappella vi erano affreschi alle pareti, arredi sacri, tombe ed una Deposizione costituita da statue a grandezza naturale. I repubblicani spogliarono il castello di ogni cosa, incendiarono le scuderie, rasero al suolo il priorato (oggi vi è un giardino). Riservarono particolari attenzioni alla cappella, raschiando accuratamente gli affreschi dalle pareti, profanando le tombe e facendo scempio delle statue della deposizione. A colpi di baionetta e di ascia, ancora oggi visibili, i repubblicani si accanirono sui volti e sulle mani dei personaggi, in particolare contro Maria e pie donne e, ovviamente, sul corpo di Cristo; furono parzialmente risparmiate due figure maschili, forse scambiate per soldati romani. Osservando quel che resta delle statue, si percepisce la furia dei colpi inferti e ci si chiede come sia riuscita la Rivoluzione a scatenare tanto odio in quei soldati repubblicani che pure erano francesi come i vandeani, cresciuti nella stessa cultura, con gli stessi valori.
Con tanto furore in corpo, non c’è da meravigliarsi che la Vandea sia stata teatro di terribili atrocità commesse per ordine della Convenzione Nazionale o per iniziativa dei generali repubblicani. Ormai nessuno storico nega più le uccisioni di massa e; ugualmente documentato è lo sfruttamento dei cadaveri, scuoiati per ricavarne pelle e grasso per sapone destinati alle truppe francesi sul fronte austriaco. Infine è documentata la folle pianificazione del genocidio dell’intera popolazione per mano delle Colonne Infernali, i dodici battaglioni di devastazione ideati da Louis Marie Turreau e Haxo ai quali la Convenzione affidò il compito della “pacificazione” della Vandea. Alla richiesta di Turreau di chiarire fin dove dovesse spingersi l’operazione, che prese il nome di Vendée-Vengé (Vandea vendicata), il Comitato di Salute Pubblica rispose che il suo dovere era «uccidere i briganti fino all’ultimo uomo». In quest’ottica, il generale Caffin, per esempio, il 25 gennaio 1794 scriveva: «Per il bene della Repubblica, (il villaggio di) Les Echaubrognes non esiste più, non ne resta una sola casa. (….) Niente è sfuggito alla vendetta nazionale. Al momento in cui ti scrivo, sto facendo fucilare quattordici donne che mi sono state denunciate». Nel villaggio di Les Luc sur Boulogne, la colonna comandata da Cordelier, un generale di 26 anni, massacrò 563 persone in una volta, sparando all’impazzata nella chiesa dove si erano rifugiate: tra esse 109 bambini con meno di 7 anni, 33 avevano meno di 2 anni e due bambini avevano appena 15 giorni. Uno dei sodati scrisse quella sera: «Oggi, giornata faticosa, ma fruttuosa. Nessuna resistenza. Abbiamo potuto decapitare con poca spesa tutta una nidiata di bigotti … che brandivano le loro insegne di fanatismo. La nostra colonna ha proceduto normalmente».
La risposta che i Vandeani davano a tanto feroce odio era il coraggio e la determinazione nella lotta, senza perdere la pietà verso il nemico, senza dimenticare di essere uomini e, soprattutto, cristiani. D’altra parte, era proprio ciò che stavano difendendo: la possibilità di continuare ad essere uomini come avevano imparato dai loro padri, attraverso mille anni di storia; la possibilità di essere cristiani e rimanere fedeli ad un mondo che si fondava su principi e legami naturali. Il mondo nuovo e l’uomo nuovo dell’utopia rivoluzionaria non li interessavano perché avevano imparato a proprie spese che quell’utopia era folle e che quell’uomo non aveva più nulla di umano.
I vandeani, invece, credevano ancora che per essere uomini bisogna avere per modello Dio e, quando se ne dimenticavano, c’erano i loro capi a ricordarglielo. Come accadde dopo la terribile battaglia di Chemillé, l’11 aprile 1793. Le perdite erano state forti e i Bleus (i repubblicani) avevano compiuto massacri nelle campagne vicine; i vandeani, esasperati, decisero di vendicarsi sui prigionieri presi in battaglia. Il generale Maurice d’Elbée cercò di fermarli ma gli animi erano troppo esacerbati e per i prigionieri non c’era più scampo. D’Elbée, allora, chiese ai suoi uomini, prima di scagliarsi contro i prigionieri, di recitare con lui un Pater noster. I vandeani obbedirono ma, arrivati a “….rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo…”, d’Elbée di scatto si drizzò ed esclamò: «E osate chiedere a Dio di perdonarvi, come voi…voi perdonate?». Nessuno osò fiatare: la vergogna per aver desiderato la vendetta contro degli inermi ebbe ragione dell’ira. I vandeani si allontanarono a capo chino: i repubblicani erano stati salvati da una preghiera dei loro nemici.
Piccole storie di piccoli uomini, che non hanno determinato vittorie o sconfitte, ma che hanno determinato la loro vita e la loro morte. E che ne determinano il ricordo che noi ne conserviamo.