L’ “Esercito di Franceschiello” – 2

La deformazione caricaturale dell’Esercito borbonico, in realtà, non regge neanche più per gli storici di parte liberale più seri.

A titolo di esempio riportiamo integralmente il testo di un intervento sul quotidiano Il Mattino del prof. Piero Craveri, docente di Storia Moderna all’Università Suor Orsola Benincasa.

Nato a Torino, il prof. Craveri è nipote di Benedetto Croce ed ha militato nel Partito Repubblicano e nel Partito Radicale.

«Giornali ed esponenti politici di centrodestra, in questi giorni, hanno rievocato l’esercito di Franceschiello per bollare – in maniera dispregiativa – il governo Prodi in conclave a Caserta. Com’è noto, i borbonici furono sconfitti prima da Garibaldi, poi dall’esercito regio di Vittorio Emanuele II.

Da ciò, dopo il 1860, è venuto il modo di dire «esercito di Franceschiello», ossia per segnare l’ineluttabilità di quella vittoria che aveva portato l’unità d’Italia. Ma l’esercito di Franceschiello si batté, e con valore, al Volturno e nell’assedio di Gaeta, mentre a Calatafimi aveva ceduto per un soffio.

Quello borbonico fu il crollo dell’impalcatura di un regno. Garibaldi entrò in Napoli con 300 uomini tra una folla plaudente. Non fu viltà, quella dell’esercito borbonico, ma la conseguenza di un destino già segnato dalla storia. Fu la fine di un regno più che la sconfitta di un esercito.

Le metafore cambiano significato col tempo. Ed anche quella irriverente dell’esercito di Franceschiello, mentre ieri era un derivato dell’avvento del nuovo corso della vita nazionale, oggi, che col tempo abbiamo restituito ai vinti quel tanto di dignità che essi hanno meritato, suona solo come una volgarità, anche come gratuito dileggio di una pagina infelice della storia del Mezzogiorno. È, insomma, un davvero superfluo nordismo.

Gli esponenti del centrodestra, che la usano per designare i loro avversari di centrosinistra, mostrano poca cultura e poca sensibilità. Poiché oggi siamo in democrazia è buona regola non sottovalutare mai l’avversario prima di aver visto le sue carte. Quello che fu appunto l’errore dell’esercito di Franceschiello nell’affrontare Garibaldi.»

Piero Craveri
da Il Mattino, 12.1.2007

Anche lo storico liberale Giuseppe Galasso (1929-2018) ha ammesso che la rappresentazione caricaturale dell’esercito borbonico è un falso creato dalla propaganda unitaria.

In un articolo apparso sul quotidiano “Il Mattino” (27.2.2010) Galasso ha scritto:

«Nel verticale crollo borbonico del 1860 fu, al contrario, proprio l’esercito l’unico elemento del regime allora caduto a salvare l’onore della dinastia e del Paese, con un notevole esempio di valor militare e di fedeltà morale e politica».

«Ingiusto, dunque, quel modo di dire che ora, finalmente non si usa più, come è bene che sia» [in realtà, però, a livello di divulgazione e anche di una certa accademia, la denigrazione continua] – prosegue Galasso – «L’esercito di Franceschiello, ossia di Francesco II di Borbone meritava e merita rispetto».

«Era stato mal comandato in Sicilia, ma si era battuto bene, mantenendo anche inespugnata la cittadella di Messina (…..) nello scontro decisivo che Francesco II decise di affrontare sul Volturno l’esercito combattè con grande impegno…».

Nell’articolo Galasso si sofferma anche sulla generosa resistenza che i soldati del Regno delle Due Sicilie continuarono ad opporre anche dopo la battaglia del Volturno:

«La resistenza di Gaeta – scrive – fu accanita, animata anche dalla bella e balda regina Maria Sofia di Baviera».

Quanto a Civitella del Tronto, Galasso ricostruisce così la difesa dell’ultima piazzaforte borbonica:

«Non vi era un grosso contingente. Il comandante, il maggiore Luigi Ascione, aveva ai suoi ordini all’incirca 500 uomini di varie armi e corpi con 21 cannoni, 2 obici, 2 mortai e una colubrina in bronzo. Le forze degli assedianti, al comando del generale Ferdinando Pinelli, erano superiori e con armi migliori, fra cui cannoni rigati, di vario calibro, e 2 obici di montagna».

«(….) Pinelli adottò misure durissime anche contro la popolazione civile, per cui nel gennaio 1861 lo si sostituì con il generale Luigi Mezzacapo, un ex ufficiale borbonico passato a quello sabaudo quando Ferdinando II si era ritirato dalla coalizione antiaustriaca degli Stati italiani nel 1848. Con lui l’assedio si fece più energico, sostenuto dal fuoco dei nuovi potenti cannoni a tiro rapido, e da forze armate crescenti, che giunsero a oltre 3.500 uomini. In realtà, [si trattò] piuttosto di un continuo bombardamento che di un’azione di assedio manovrata; alla fine , furono 7.800 i proiettili caduti sulla fortezza per circa 6.500 chilogrammi di esplosivo. Anzi, furono piuttosto gli assediati a condurre un’azione militare di qualche rilievo, fomentando atti di guerriglia nei paesi vicini e cercando di opporsi , dove si poteva, al plebiscito per l’unità italiana il 21 febbraio».

 Giuseppe Galasso
 Da Il Mattino, 27.2.2010