Dario Ciccarelli
Il bandolo dell’euromatassa
È stata l’Organizzazione Mondiale del Commercio ad annientare l’Unione Europea
Prefazione di Augusto Sinagra
pag. 117 – prima edizione 2014
ISBN 978-88-906834-3-5
€ 15,00 più spese postali
In un clima di euroscetticismo – acuito da sei anni di crisi ormai divenuta endogena dell’area dell’euro e da discutibili politiche comunitarie sui temi cardine dell’etica sociale, familiare ed individuale, tanto fortemente volute dalle lobbies ideologiche assise a Strasburgo quanto invise dai popoli europei – il saggio di Dario Ciccarelli aggiunge un ulteriore elemento di sconcerto e di riflessione sulla natura e sull’esistenza stessa, politica ma anche giuridica, dell’Unione Europea.
L’autore porta all’attenzione del lettore una “impostura” che la UE perpetra ormai da vent’ anni ai danni degli Stati che la costituiscono. Nel 1994 nacque l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) e tutte le nazioni europee ne sottoscrissero il Trattato costitutivo, entrando a farne parte come singoli Stati, secondo il dettato del diritto internazionale che non riconosceva – e non riconosce – un ruolo sovranazionale alla UE.
L’Unione Europa, infatti, è e resta un ibrido indefinito: non è nazione, federazione, confederazione; finge di non avere confini interni, ma in realtà ha solo dei trattati che regolano la circolazione dei cittadini; finge di essere un blocco territoriale unito, ma non ha confini esterni poiché non è un soggetto politico rappresentativo a livello internazionale; si presenta come un’entità univoca ma non ha una politica estera e una militare unitaria, gli Stati membri ne fanno parte a diverso titolo ed hanno alleanze internazionali non omogenee; ostenta autorevolezza ma impone regole e orientamenti con arroganza grazie alla debolezza o alla compromissione dei Paesi che le subiscono.
Insomma, la UE si dà arie di potenza internazionale ma l’unico ruolo reale che dovrebbe esserle riconosciuto è quello di mercato regolato da accordi bilaterali: niente di più del MEC (Mercato Comune Europea) del quale è erede.
Anzi – questa la tesi del saggio Il bandolo dell’euromatassa – neppure a questo ruolo può più aspirare, da quando i singoli Stati firmarono il trattato dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, accettandone e adottandone regole, logiche e organismi. Da quel momento, ogni Paese si riappropriò di fatto delle prerogative che aveva delegato alla UE, rendendone superfluo il ruolo. Da allora, ciascun Paese europeo si trova nell’equivoca situazione di essere individualmente membro effettivo dell’OMC e di sedere accanto al rappresentante della UE, considerato “portavoce” di un “gruppo” del quale pure fa parte.
Sgorga immediata una cascata di domande: ma se l’Italia o la Francia, per esempio, hanno un proprio rappresentante in seno all’OMC che vota in difesa degli interessi commerciali individuali del proprio Paese, il rappresentante della UE vota in difesa degli interessi di chi? E, ammesso e non concesso che il “portavoce” UE voti per conto dei Paesi europei, è possibile che i singoli Paesi si autorappresentino su determinate materie? L’Italia vota autonomamente o si affida alla delega europea? E se il voto espresso dalla UE fosse in contrasto con gli interessi della singola Italia o della Francia?
La conclusione di Ciccarelli è che la UE ha smesso di esistere dal 1994 ma che la sua nomenklatura finge che non sia mai accaduto e impone agli europei di continuare a sottoscrivere una delega in bianco a suo nome, obbligandoli ad ignorare le regole che fanno girare il commercio e l’economia in tutto il resto del mondo.
L’autore
Dario Ciccarelli è nato a Napoli nel 1969. Attualmente è un dirigente dell’Amministrazione Pubblica. Dal 2003 al 2007 ha ricoperto, a Ginevra, l’incarico di componente della Rappresentanza diplomatica d’Italia presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio e le altre Organizzazioni Internazionali.
Nel 2000-2001 è stato professore a contratto all’Università di Ferrara. Ha collaborato con il Formez, con la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica, con l’Anci, con la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione.
Sull’incompatibilità dell’Unione Europea con il diritto internazionale ha pubblicato numerosi articoli, su quotidiani (Il Sole 24 ore, Libero Mercato, L’Occidentale), periodici e riviste giuridiche specializzate. Nel 2002 ha pubblicato Bioarchitettura istituzionale. La Via del Tradere.
Il brano scelto
«Nel 1994, davanti ad un’Organizzazione Internazionale che, in raccordo con tutte le altre Organizzazioni Internazionali, veniva finalmente istituita allo scopo di disciplinare il commercio a livello globale, diveniva oggettivamente necessario verificare se, nel nuovo scenario, l’UE avesse ancora un senso, una ragion d’essere, una legittimità.
Se ad esempio – ci si sarebbe dovuto chiedere – gli OGM, il ”made in” e gli aiuti di Stato sono ora regolati dall’Organizzazione Mondiale del Commercio a beneficio di tutte le Nazioni del mondo, come potrebbero sopravvivere norme che aspirino a regolare le medesime questioni, dagli OGM al ”made in” agli aiuti di Stato, a livello regionale comunitario? Se il giudice che si occupa di valutare della compatibiltà dei comportamenti degli Stati nazionali con le norme del mercato globale è il Giudice dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, quale funzione potrebbe ancora svolgere la Corte di Giustizia delle Comunità Europee? Se esiste un trattato che regola il mercato globale, come potrebbe sopravvivere un trattato che intenda regolare un ipotetico mercato esclusivamente europeo?
Se tali interrogativi fossero stati sollevati, non si sarebbe certamente mancato di rilevare l’oggettiva, necessaria ritrovata centralità delle Nazioni; se siffatta consapevolezza fosse maturata e soprattutto fosse stata pubblicamente dichiarata e divulgata, dal 15 aprile 1994 in ogni ambiente della società italiana, nelle università come nei media, nella politica come nelle famiglie, nelle aziende come nelle associazioni dei lavoratori, si sarebbe certamente sviluppato, anche in Italia, come avvenuto in tutte le nazioni extraUE del pianeta, un sano e positivo fervore volto a riposizionare pensieri e comportamenti, quindi a ridefinire, in ogni ambiente, le condotte necessarie per navigare con costrutto nel mare della competizione globale, quale regolata dal diritto internazionale.
Nelle stanze frequentate dai rappresentanti ministeriali si adottò invece un approccio del tutto diverso. I problemi furono posti a voce molto molto bassa. Si evitò dunque di affrontare in modo serio il problema e si adottò un compromesso (meglio, potrebbe dirsi, un ”pastrocchio”), che recava danni non soltanto alla certezza e alla chiarezza del diritto quanto soprattutto alla possibilità che l’opinione pubblica avesse contezza di quanto stava accadendo. A Marrakech i governi degli Stati firmarono autonomamente.
Fu però consentito di firmare anche alla Commissione Europea, la quale nel verbale del Consiglio UE del 7-8 marzo 1994 aveva, in contrasto con i Governi nazionali, dichiarato che «l’Atto finale […] nonché gli accordi ad esso allegati rientrano nell’esclusiva competenza della Comunità». Storditi da decenni di propaganda europeista, i delegati italiani, peraltro ormai non più avvezzi a trattare approfonditamente e responsabilmente delle questioni tra la loro Nazione ed il mondo, arrivarono a Marrakech, e firmarono, avendo nella mente i trattati comunitari, anziché il nuovo Trattato OMC.
Se si fosse guardato ai contenuti degli Accordi dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e si fosse ricercata al loro interno la risposta alle questioni relative alla soggettività giuridica dei Membri, ci si sarebbe presto accorti che il nuovo Trattato non poteva oggettivamente ammettere alcun ruolo per quella strana creatura, pur così amata da alcuni, denominata Comunità Europea. Se l’aspirazione alla conoscenza fosse riuscita a farsi spazio tra i pesantissimi blocchi della prassi e della retorica europeista, ci si sarebbe accorti che la Comunità Europea, non essendo uno Stato, semplicemente non presentava i requisiti soggettivi giuridici e sostanziali per essere Membro dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Si sarebbe altresì preso atto che in seno a un’Organizzazione che veniva istituita apposta per garantire, attraverso il contributo di ciascuno dei suoi Membri, che il diritto avvolgesse armoniosamente, e ovunque, il mercato, le Nazioni europee avevano l’interesse e il dovere di assicurare al nuovo sistema l’insostituibile apporto proveniente dalle loro civilità e dalle loro tradizioni, mettendo definitivamente da parte sogni e progetti territorialmente e culturalmente più ristretti. Se ci si fosse degnati di guardare alla realtà ci si sarebbe resi conto, con la leggerezza che si associa alla constatazione, che la Commissione Europea non aveva, e non ha, alcun titolo per intervenire nelle valutazioni relative alla sottoscrizione del nuovo Trattato, nè, tanto meno, per intervenire nella sottoscrizione del Trattato stesso.
L’art. XII del Trattato istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio chiarisce infatti: «Ciascuno Stato o territorio doganale separato che sia dotato di piena autonomia nella conduzione delle sue relazioni commerciali esterne e negli altri ambiti disciplinati da questo Accordo e dagli Accordi Commerciali Multilaterali può accedere a questo Accordo, secondo termini da concordarsi con l’Organizzazione Mondiale del Commercio».
Il Trattato di Marrakech chiarisce dunque che può aspirare a divenire Membro dell’Organizzazione Mondiale del Commercio uno ”Stato” oppure un ”territorio doganale separato” (dotato di piena autonomia negli ambiti, la cui estensione è peraltro resa mutevole dalle sollecitazioni dei Membri, disciplinati dall’Organizzazione Mondiale del Commercio medesima): è pacifico, ed è stato comunque ufficialmente acclarato dai giudici dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, che l’Unione Europea non rientra in alcuna delle due suddette tipologie di soggetto.
Peraltro, l’art. XII non immagina certo, nè dunque consente, che più Stati possano divenire Membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio ”due volte”, sia in quanto Stati sia in quanto ”gruppo di Stati”. Dalle assemblee di condominio alle associazioni, dalle società per azioni alle Organizzazioni internazionali, il principio è così chiaro che mai richiede approfondimenti particolari: eppure, in ossequio al mito europeista (che rifugge sempre dalla verifica della realtà e che quando con la realtà s’imbatte asserisce sprezzantemente, rispetto ad essa, la propria indifferenza), per l’Unione Europea da vent’anni è divenuto di moda sfidare il buon senso, oltre che il diritto.»